L’insostenibile leggerezza dell’infarto
di Francesco Maria Bovenzi
L’insostenibile leggerezza dell’infarto.
Anni fa un paziente adagiato sul lettino delle visite mentre cercavo di comprendere i suoi problemi clinici esclamò: «dottore, mi hanno detto che ho avuto un infarto leggero-leggero!»
Solo a pronunciarla, questa parola, allarga il cuore, riempie i polmoni di inebriante aria, mentre la paura e l’ansia fuggono via. È proprio vero che la leggerezza stempera l’opacità delle cose. L’idea di leggerezza è una bella sfida non solo alla legge di gravità. Scriveva Kahlil Gibran, che se desideri vedere le valli, sali sulla cima della montagna, se poi vuoi vedere la cima della montagna sollevati fin sopra la nuvola, ma se cerchi di capire la nuvola chiudi gli occhi e pensa.
Leggerezza, rapidità, esattezza, chiarezza, semplicità, speranza: tutte le ritroviamo nelle aspettative del malato. Insomma, la leggerezza è un sistema di valori che coinvolge ogni sua espressione: medicina, teatro, letteratura, arte, design, moda, religione.
Può allora esistere un confine tra leggerezza e pesantezza nell’infarto miocardio?
Leggerezza nell’infarto dovrebbe essere una condizione clinica prognosticamene favorevole per quanto attiene alla mortalità, ma sicuramente potrebbe rappresentare una condizione di precarietà. La leggerezza d’altronde per sua natura è fisicamente fragile. Scriveva Friedrich Nietzsche nel caso Wagner: «tutto ciò che è buono è leggero, tutto ciò che è divino corre su piedi delicati». A questo positivo concetto di fragilità e leggerezza si oppone nel paziente infartuato la probabilità che si verifichino nuove crisi coronariche fino a vere e proprie recidive di infarto.
La distinzione tra infarto leggero e infarto grave, pesante, è sempre difficile per la mancanza di una soluzione di continuità e per la frequente presenza di un equilibrio solo apparentemente stabile. Se l’infarto non comporta dopo tanti anni alcuna conseguenza per molti non è considerato nemmeno infarto, quindi potrebbe essere stato talmente leggero e impalpabile da essere privo d’effetto.
La leggerezza di un infarto nel malato diviene allora uno stato d’animo? Una disposizione che rende la vita più facile da accettare, sconfinando nell’ottimismo?
Saper cogliere l’essenza delle cose è leggerezza. E anche una certa forma di dolcezza, di partecipazione affettiva che riesce a intuire l’umanità che c’è nell’altro.
L’uomo identifica sempre l’idea di leggerezza con la libertà interiore che lo rende più frequentabile e meglio disposto a prendere la vita per il suo lato migliore. Leggerezza è una parola che è musica per le orecchie del paziente perché rassicura. Nella professione del medico, la tendenza a sdrammatizzare, ad incoraggiare il malato, rappresenta un’operazione di sottrazione di gravità, di peso della patologia che lo porta a privilegiare i valori della leggerezza.
Questo è un comportamento abbastanza radicato e diffuso costituendo la base più semplice e sicura di acquisizione di fiducia, di rimozione delle ansie e crescita delle aspettative. Il risvolto potrebbe essere quello di regalare illusioni e privare di libertà il malato fornendogli errate informazioni. Italo Calvino dedica alla leggerezza la prima conferenza delle lezioni americane e la associa a precisione e determinazione, non a vaghezza e abbandono al caso.
La leggerezza per il medico disattento è una tentazione che erroneamente manifesta come quando consiglia con approssimazione una dieta leggera per il cardiopatico, incurante sul contenuto di grassi saturi o calorie, riferendosi solo al colore, perché si sa che mangiare in bianco fa bene alla salute. Parafrasando Calvino la leggerezza si crea nelle parole del medico con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta, capace di esprimere un linguaggio che aleggia alto come in una nube.
Anche il poeta come il medico è reperibile a tutte le ore del giorno, perché risponde sempre ai richiami della sua anima ispirata.
Il segreto sta tutto nella misura che ciascun medico adopera, sapendo che più sceglie l’approssimazione nella diagnosi e cura, più si sottrae ad un corretto giudizio. Chi è vittima dei contenziosi medico legali lo capisce bene. L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera non era altro che un romanzo sull’impossibilità di essere leggeri. Lo stesso Calvino riconosce come l’universo sia governato dalla pesantezza del vivere.
Quindi la leggerezza appartiene a un altrove che non è di questo mondo.