Con tutto il cuore nello sport
Salute e sport
di Nicola Iacovone
L’ipertensione arteriosa
È definita come una pressione sistolica maggiore o uguale a 140 mmHg e/o una pressione diastolica maggiore o uguale a 90 mmHg, in soggetti che non assumono farmaci antipertensivi (ipertesi sono tutti coloro che assumono farmaci antipertensivi indipendentemente dai valori pressori). L’ipertensione, nella maggioranza dei casi, non è riferibile ad alcuna causa organica (primitiva o essenziale), oppure (secondaria) è legata a cause ben definite: cardiopatie, malattie endocrine, nefropatie, farmaci, fattori esogeni, ecc.
Nel mondo oltre 1 miliardo di persone ne soffrono: in Europa questa condizione interessa il 30-45% della popolazione adulta (il 60% oltre i 60 anni) e rappresenta la principale causa di mortalità prematura (10 milioni di decessi nel 2015, dei quali 4,9 milioni dovuti a infarto e 3,5 a ictus), rappresenta un importante fattore di rischio anche per scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, nefropatia cronica e arteriopatia periferica (dalle linee guida 2018 della Società Europea di Cardiologia e della Società Europea dell’Ipertensione).
Gli effetti positivi dell’attività sportiva sulla pressione arteriosa sono noti sin dalla fine del 1800. Tali effetti sono la diretta conseguenza degli adattamenti indotti dalla pratica sportiva, soprattutto se aerobica, sul sistema nervoso autonomo e sul microcircolo sanguigno. Negli atleti si osserva una riduzione del tono simpatico con prevalenza del tono parasimpatico: a parità di lavoro sottomassimale, si evoca una risposta simpaticoadrenergica minore. A livello muscolare si instaura un aumento della densità capillare (numero assoluto di capillari per mm2) e un incremento relativo delle fibre a metabolismo prevalentemente ossidativo (fibre aerobiche). Ad un maggiore sviluppo capillare, consegue una diminuzione delle resistenze vascolari periferiche: maggior flusso a parità di pressione o, mediamente, più bassi livelli della pressione arteriosa.
L’utilizzo dell’attività fisica quale mezzo terapeutico è stato confermato da numerosi studi tutti volti a documentare una riduzione significativa della pressione sistolica e diastolica sia a riposo che durante il lavoro, con aumento della capacità fisica (da incremento della riserva coronarica e del consumo di ossigeno).
Quali caratteristiche richiede l’allenamento nell’ ipertensione?
- Lavoro muscolare caratterizzato da reclutamento prevalente delle fibre di tipo I (aerobiche), ossia intensità del lavoro moderata o sottomassimale
- Lavoro muscolare di tipo dinamico e non statico (quest’ultimo è caratterizzato da bassa portata cardiaca associata ad incremento dei valori pressori)
- Coinvolgimento di più gruppi muscolari (alternando gli arti inferiori con i superiori)
- Incremento graduale della quantità di lavoro muscolare
- Costante e regolare pratica sportiva (3-4 volte la settimana con sedute ognuna di almeno 40-50 minuti).
Come possiamo notare, sono tutte caratteristiche che si osservano nella pratica di discipline sportive aerobiche (ciclismo, corsa, marcia, nuoto, sci di fondo, ecc.) praticate soprattutto in ambienti aperti.
La cardiopatia ischemica
È considerata una patologia infiammatoria cronica a basso grado con fasi di attività cicliche di entità variabile, ad eziologia multifattoriale e la cui incidenza aumenta progressivamente con l’età. L’esercizio fisico, così come l’attività sportiva organizzata, assumono un ruolo determinante nella prevenzione primaria della cardiopatia ischemica e delle malattie cardiovascolari in generale. Oltretutto, è parte integrante di tutte le misure (igieniche, dietetiche e farmacologiche) volte alla prevenzione secondaria della malattia coronarica.
Infatti, l’attività fisica regolare e controllata, vista come riabilitazione cardiaca, ha lo scopo di ottenere il recupero, il riadattamento ed il reinserimento del malato cardiovascolare ad un normale stile di vita quotidiano, permettendo il raggiungimento di livelli ottimali sotto il profilo non solo fisico, ma anche psicologico, sociale e lavorativo.
Numerosi studi hanno dimostrato la validità che ha l’esercizio fisico regolarmente svolto e opportunamente dosato nel ridurre la mortalità nelle malattie cardiovascolari, nel migliorare la qualità della vita e soprattutto nel controllo dei fattori di rischio (dislipidemie, obesità, tabagismo, diabete, ipertensione, omocisteina elevata, ecc.) nel cardiopatico ischemico. Tutto ciò è dimostrato dal fatto che negli ultimi decenni è stata introdotta, nei soggetti affetti da infarto del miocardio, la prova da sforzo massimale ‘precoce’ al cicloergometro, come metodo di valutazione prognostica e come elemento individualizzato di prescrizione di attività fisica (in alcuni casi è stata utile anche per controindicarla). Per cui, qualora non vi siano controindicazioni in atto, è opportuno associare alla terapia farmacologica abituale (coronarodilatatori, calcioantagonisti, betabloccanti, ecc.), un programma di esercizio fisico regolare e controllato.
Diversi studi scientifici hanno dimostrato che l’esercizio fisico, opportunamente dosato, ha azione antiaritmica, bradicardizzante e diminuisce favorevolmente la pressione arteriosa. Tali azioni sono legate alla riduzione dell’attività simpatica mediata dalle catecolamine (adrenalina e noradrenalina), con prevalenza relativa dell’attività parasimpatica, ma anche ad una diminuzione dei recettori alfa e dei recettori colinergici muscarinici (siti in cui le catecolamine agiscono).
Altro effetto positivo è rappresentato dal miglioramento della perfusione vascolare a livello del miocardio e del circolo collaterale nella zona ischemica. A livello periferico si può osservare un aumento del numero assoluto dei capillari e del rapporto capillari/fibre muscolari scheletriche (diminuzione delle resistenze periferiche), associato ad aumento degli enzimi ossidativi e della mioglobina nelle fibrocellule muscolari. A livello metabolico si ha una modificazione favorevole dell’assetto lipidico con riduzione del colesterolo totale e dei trigliceridi, aumento della frazione HDL-colesterolo ed un migliore controllo del livello della glicemia . Quest’ultima azione è mediata dal maggior consumo energetico per compiere attività fisica e dall’aumento del numero dei recettori in cui agisce l’insulina. Altro beneficio è collegato alla funzione piastrinica e al sistema fibrinolitico, per aumento dell’attività del plasminogeno con diminuzione del rischio trombogenico (ulteriore fattore preventivo contro l’aterosclerosi).
Nella scelta dello sport da praticare, le attività di resistenza (sport isotonici, aerobici), hanno caratteristiche che le fanno preferire alle altre discipline sportive e nella programmazione individuale bisogna prendere in considerazione l’intensità, la durata e la frequenza di ogni seduta, al fine di poterne cogliere i migliori profitti sotto l’aspetto cardiologico-riabilitativo
Dislipidemie e sindrome metabolica
Durante la pratica sportiva l’organismo umano attinge dai lipidi, in particolare dagli acidi grassi, buona parte della fonte energetica. Tale fenomeno, associato agli altri effetti del training quali la diminuzione del tono simpatico, il mantenimento dei normali valori di pressione arteriosa e l’aumento della sensibilità muscolare all’insulina, concorrono alla riduzione del danno aterosclerotico osservabile nei soggetti praticanti sport aerobici. Nell’esercizio sub-massimale il contributo degli acidi grassi come fonte energetica è superiore al 50% del fabbisogno metabolico. Incrementando l’intensità del lavoro, tale apporto diminuisce gradualmente a favore dei glucidi, i quali rappresentano l’unica fonte nell’esercizio strenuo.
L’utilizzazione degli acidi grassi dipende dal grado di allenamento, dal tipo di dieta utilizzata e dalla durata dell’esercizio. Infatti, si pone la necessità di dover raggiungere un livello soglia di attività motoria per ottenere gli effetti favorevoli sul quadro lipoproteico. Le modificazioni in senso antiaterogeno delle varie frazioni lipidiche indotte dall’allenamento aerobico (diminuzione del colesterolo totale, VLDL, LDL, apoliproteina-B e trigliceridi, con aumento del colesterolo-HDL e apoliproteina-A), sono dovute alla maggiore sensibilità del tessuto adiposo all’azione lipolitica dell’adrenalina, all’aumentato trasferimento degli acidi grassi nel muscolo e alla loro utilizzazione nei mitocondri. Tale effetto è maggiormente atteso nel paziente che, inizialmente dislipidemico, intraprende un programma motorio finalizzato alla riduzione del rischio con minore incorporazione dei lipidi nel tessuto adiposo a favore di un loro maggiore utilizzo a livello muscolare. A parità di sforzo raggiunto, l’utilizzo degli acidi grassi come fonte energetica è maggiore nei soggetti allenati e, per mantenere costante nel tempo la stabilizzazione di questo risultato, è necessaria la continuità del training (dopo 3 giorni di riposo i valori plasmatici di colesterolo e trigliceridi si innalzano nuovamente). Importante rimane pur sempre una dieta ipolipidica come stile di vita, sia negli atleti, che nella popolazione generale.
Per cogliere i migliori benefici, l’attività sportiva dovrà avere una frequenza trisettimanale (meglio se quotidiana), intensità moderata (frequenza cardiaca pari al 60-70% della frequenza massima del soggetto), di tipo aerobico (es.: correre, marciare, jogging, andare in biciclette, ecc.), della durata di almeno 40/50 minuti ogni volta, preceduta da un congruo riscaldamento muscolare e da un’adeguata fase di recupero (es.: camminare a passo spedito). Ciò permetterà anche di migliorare l’effetto delle terapie ipocolesterolemizzanti sia in prevenzione primaria che secondaria. Tali raccomandazioni sono fondamentali e necessarie anche nella terapia della sindrome metabolica, patologia molto devastante, spesso sottovalutata e in continua crescita, caratterizzata da un quadro polimorfico: obesità addominale, ipertrigliceridemia, bassi livelli di colesterolo HDL, ipertensione arteriosa, iperglicemia a digiuno, iperuricemia, disfunzione del’endotelio vascolare, condizione procoagulativa e pro-infiammatoria, stato di insulino-resistenza (lo sport costituisce una potente arma preventiva, terapeutica e riabilitativa, non farmacologica).