I cocktails di Churchill
di Andrea Marcheselli
Sir Winston divenne l’uomo più impopolare d’Inghilterra quando, senza indulgere alle debolezze delle moltitudini, si assunse la parte ingrata del profeta di sventure e del guerrafondaio. Ma quando l’incubo nazista divenne realtà, parlò alla sua nazione, catturandone il cuore, con il linguaggio più duro possibile, senza illusioni o facili speranze, promettendo nient’altro che ‘sangue, fatiche, lacrime e sudore’ ed esortandola con il resto:
Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui campi di atterraggio, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline, non ci arrenderemo mai.
Salvò così la sua terra dall’invasione tedesca, e a Jalta ridisegnò la mappa dell’Europa con Roosevelt e Stalin. Churchill è una di quelle figure troppo grandi per una vita sola, larger than life: fu due volte Primo Ministro, ma anche un corrispondente di guerra, uno storico, un pittore, un oratore carismatico ed uno scrittore poderoso, tale da ricevere, nel 1953, il premio Nobel per la letteratura. Ma nonostante tutte queste incredibili capacità e virtù, per i dietologi, i salutisti e per i nemici dell’alcool resta un avversario invincibile. Anzi, anche per i teorici del bere responsabile, lo statista è un osso troppo duro. Perché Churchill è stato un bevitore smodato. Era grasso, pantagruelico, sedentario, stressato, fumava sigari ed aveva orari terribilmente irregolari.
La sua genetica familiare non prometteva longevità, tanto che suo padre era morto a soli 45 anni; ed aveva ereditato una forma di depressione, che chiamava il ‘cane nero’, alternata a periodi di impetuosità irrefrenabile. Probabilmente era stato un prescelto, anche tra i sopravvissuti della Prima Guerra Mondiale, essendo stato sotto tiro molte volte ed addirittura superstite nella fuga da un campo di prigionia in Sudafrica.
Quando ero giovane mi ero dato la regola di non bere mai prima di pranzo. Ora mi attengo a quella di non bere mai prima di colazione
…ed in effetti, a colazione, beveva un calice di bianco tedesco e da lì partiva la giornata, accompagnata da una lunga serie di whisky – in genere Johnny Walker – allungati con acqua, che i figli chiamavano ‘il cocktail di papà’. Prima di pranzo, era poi la volta del dry Martini con Plymouth Gin e Vermouth di Francia, verso la cui direzione mimava un simbolico inchino. Il suo champagne preferito era il Pol Roger, con cui amava pasteggiare e di cui, secondo una diffusa leggenda, avrebbe bevuto 42 mila bottiglie. Al termine del pasto non mancavano porto o cognac ed infine i suoi sigari, Romeo y Julieta, divenuti poi i famosi Churchill, di circa 18 centimetri di lunghezza e 5 di diametro.
Normale, quindi, che arrivasse in parlamento non sempre stabile sulle gambe, ma con uno spirito reso ancor più caustico, come quando fu incrociato dalla deputata Bessie Braddock, che lo aggredì con un «Siete disgustosamente ubriaco», ed alla quale laconicamente rispose «È vero, e voi siete brutta. Ma domattina io sarò sobrio e voi sarete ancora brutta». Sir Winston Churchill divenne primo ministro nel 1940 a 65 anni, ed un anno dopo ebbe il suo primo sintomo cardiaco. Mentre si sforzava di aprire una finestra in una serata calda, ebbe un dolore precordiale, che si irradiava lungo il braccio sinistro ed era associato alla dispnea. Passò in pochi minuti. Nel 1949, mentre giocava a carte a tarda notte, ebbe un intorpidimento e debolezza della gamba destra.
Fu il primo di quattro apoplessie cerebrali tra il 1949 e il 1953, che non gli impedirono però di finire più volumi di The Second World War. Trascorse infine i suoi ultimi anni, nella sua residenza di campagna nel Kent, dove nonostante il graduale decadimento cognitivo provocato dagli esiti delle ischemie cerebrali, riuscì ancora a rimanere attivo nella vita pubblica. Morì nel 1965, a 91 anni.
Il suo cardiologo scrisse:
Vorrei che avessimo saputo di più sull’importanza dell’anticoagulazione per la fibrillazione atriale parossistica, poiché avrebbe potuto prevenire i suoi molteplici TIA. Gli ultrasuoni, l’angiografia e la chirurgia vascolare avrebbero potuto essere di beneficio per la sua certa patologia carotidea. I test della troponina avrebbero potuto migliorare la valutazione sulla gravità di diversi episodi anginosi quando gli elettrocardiogrammi seriali non erano conclusivi e l’ecocardiografia doppler avrebbe dato conferma di una insufficienza cardiaca congestizia di cui più volte manifestò segni e sintomi.
Ma il medico che vigilò sulla salute dello statista, non poteva neanche conoscere la correlazione tra alcool ed aritmie, emersa molti anni dopo con uno studio pubblicato sul Journal of the American Heart Association, che individuò nei meccanismi della fibrillazione atriale non solo turbe elettriche, ma anche un rischio aumentato nei soggetti che consumavano regolarmente alcolici. Tali conclusioni provenivano dai dati del famoso Framingham Heart Study, in cui 5.200 abitanti della cittadina del Massachusetts erano stati monitorati per sei anni, arrivando alla conclusione che il rischio di fibrillazione atriale era circa il doppio in coloro che assumevano 6 o più bicchieri di vino al giorno, rispetto ai soggetti che ne assumevano meno di uno, e che, aumentando le assunzioni, si osservavano nel tempo modificazioni morfo-funzionali dell’atrio sinistro. L’eccessivo e cronico consumo di etanolo può associarsi infatti a insufficienza cardiaca congestizia, accidenti cerebrovascolari, aritmie, morte improvvisa, anche indipendentemente da altri fattori di rischio quali fumo, ipertensione, diabete, dislipidemia, obesità. La cardiomiopatia alcoolica insorge subdolamente, decorrendo a lungo misconosciuta fino a determinare i classici segni della cardiopatia congestizia. Rappresenta la prima causa di cardiomiopatia dilatativa secondaria non ischemica nei paesi occidentali, e poiché si stima che circa il 10% della popolazione adulta assuma alcool in quantità superiore al bere moderato, i danni sul miocardio rappresentano un importante problema sanitario. Nonostante da tempo sia noto che l’alcool possa avere un ruolo patogenetico nell’insorgenza di alcune cardiomiopatie, soltanto in un’epoca relativamente recente si è avuto un concreto sviluppo degli studi intesi a stabilire il ruolo svolto dall’uso di alcool nell’induzione del danno miocardico. Numerose evidenze cliniche e sperimentali hanno documentato che l’assunzione prolungata di elevate quantità di alcool, più di 5 unità al giorno, considerando come unità alcolica un quantitativo di etanolo puro pari a 12g (un bicchiere da 125ml di vino, un boccale di birra da 330ml, un bicchierino di superalcolico da 40ml) siano in grado di indurre lesioni del muscolo cardiaco. Fortunatamente, è dimostrato anche che la quotidiana assunzione moderata di alcool (1-2 unità alcoliche al giorno) possa ridurre i rischi di sviluppare patologie cardiovascolari come scompenso cardiaco o infarto. Evocando la sua battuta che ‘una mela al giorno leva il medico di torno, basta avere una buona mira’ e la sua testardaggine, è verosimile che Sir Winston non avrebbe ceduto a consigli medici di limitazione sul bere, sul fumo e sul cibo, per prevenire ulteriori eventi cerebro cardiovascolari. Ma ricordando che Joe Gilmore, il bartender del Savoy che inventò per il suo novantesimo compleanno il cocktail Blenheim, scomparve anch’egli a 93 anni, potremmo ammettere che anche questa volta Churchill avesse ragione…
Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è
mai fatale, è il coraggio di continuare che conta.
Wiston Churchill