La medicina delle antiche civiltà
Storia della medicina
di Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari
(Parte I)
Prima che nella Grecia antica venisse inaugurata la Medicina moderna con il dettato razionale di Ippocrate, alcuni aspetti empirici e magico-religiosi già permeavano il sapere medico delle antiche civiltà. Basti pensare che alcune delle intuizioni geniali dell’epoca permangono valide anche nella dottrina moderna, soprattutto per quanto riguarda gli studi sull’anatomia, che hanno introdotto la conoscenza della costituzione del corpo umano. Si comincia a leggere di un’aspirazione perenne all’integrità e all’immortalità – ricordiamo anche la celebre frase di Freud “L’inconscio dell’uomo si comporta come fosse immortale” – che si rintraccia nei Rg-Veda: “Noi bevemmo il soma, noi divenimmo immortali”. Sono gli antichissimi libri dell’India del V millennio a.C., considerata la patria della rinoplastica e della canapa indiana impiegata per l’anestesia, branca che si definirà solo nel XIX secolo ma di cui è considerato pioniere il chirurgo indiano più famoso, Suśruta, autore di importanti scritti di medicina e chirurgia ritenuti testi fondativi della medicina Ayurvedica.
Ancora più antichi sono gli scritti della civiltà assiro-babilonese. Sulle tavolette e sulla stele di basalto nero risulta inciso il codice di Hammurabi: inizia l’oniromanzia, vale a dire l’interpretazione dei sogni che Freud farà poi assurgere a via regia per la decifrazione dell’Inconscio. Con gli Egiziani, come è documentato da vari papiri, la dominante teurgica trapassa in un più diffuso empirismo. Infatti basta pensare alla perfetta tecnica dell’imbalsamazione del cadavere tramandataci da Erodoto: per i faraoni, dopo l’eviscerazione, a seguito della quale i visceri venivano conservati in speciali recipienti, i canopi, il cadavere veniva posto in un bagno salato per 40 giorni per l’essiccazione, veniva riempito di unguenti, si procedeva all’imbellettatura e il corpo veniva avvolto in fasce di lino finissimo. Per le persone comuni il procedimento era più semplice, basato su un clistere probabilmente di potassa caustica.
La Medicina persiana e quella ebraica sono permeate dai concetti di ‘purità / impurità’. È noto come fossero considerate impure, per esempio, le mestruazioni, e ancor più i lebbrosi, cosa che si sarebbe poi trasportata nei secoli in quel detto ‘il complesso del lebbroso’, che nella medicina psicosomatica sottende a tutta una serie di malattie dermatologiche per il dialogo simbolico che la pelle intrattiene tra noi e l’ambiente come una delle espressioni dei linguaggi del corpo. È tramite il contatto con gli egizi che la Medicina ebraica attenua il suo assolutismo religioso e acquisisce aspetti più naturali fondati soprattutto sul valore dei medicamenti, come si legge sull’ultimo libro del Vecchio Testamento, il Qoelet, o Ecclesiaste: «Dio ha dato agli uomini la scienza perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie. Con essa il medico cura ed elimina il dolore».
In Cina, nel 2800 a.C. l’imperatore Shen-Nung insegna ai suoi sudditi la coltivazione delle piante compilando un libro di rimedi medicamentosi che è tra i più interessanti della Storia della Medicina. D’altra parte la Medicina cinese è a tutt’oggi molto in voga e molti dei suoi aspetti sono stati recepiti anche nelle nostre pratiche in Occidente. Basti pensare alla nozione delle due qualità fondamentali che ci costituirebbero, Yang (principio maschile, lievemente predominante, rappresentante la forza e la creatività), e Yin (principio femminile, rappresentante la delicatezza e la recettività), alla base anche dell’Agopuntura.
La Medicina cinese si ricorda anche per la scoperta della immunizzazione antivaiolosa. Sembra infatti che il vaiolo si fosse diffuso in Cina importato dagli Unni, con il nome di ‘pustola umana’, e che la popolazione dovette fronteggiare in tutti i modi l’epidemia, come descrive accuratamente Ko Hung nel III sec. d.C..