AtTAKO al cuore
di Andrea Marcheselli
Quella mattina di settembre il tempo a Boston era perfetto, come nel resto del New England, ed alle 8:05 il decollo del Boeing 767 dell’American Airlines 11 con destinazione Los Angeles era avvenuto in orario. Dopo il raggiungimento della quota di volo, effettua improvvisamente un’anomala virata verso Sud, in direzione di New York City ed alle 8:46 termina il suo viaggio tra il 93° e il 99° piano di uno degli edifici più alti del mondo, la Torre Nord del World Trade Center. Dopo solo tre minuti, sugli schermi della CNN va in onda l’apocalisse in diretta. Tra incredulità ed orrore, lo scenario si fa sempre più agghiacciante: dalla visione di persone intrappolate nelle fiamme che si gettano nel vuoto in un ultimo disperato tentativo, sino all’inimmaginabile che arriva dopo diciassette minuti con il secondo volo United Airlines 175, che si schianta tra il 77°e l’85° piano della Torre Sud.
Dopo il collasso delle due Torri ci vorranno settimane per accertare il numero delle vittime, ed alla fine si stimerà che delle oltre 17.000 persone presenti al lavoro quella mattina, oltre duemila avevano perso la vita. Negli anni che seguiranno, oltre alle polemiche ed alle tesi complottistiche, al numero dei morti di quel giorno se ne aggiungeranno moltissimi altri, a causa delle migliaia di tonnellate di detriti tossici risultanti dal collasso, dei quali alcuni cancerogeni, come l’amianto. Si stima che la ‘Sindrome di Ground Zero’ interessò oltre 33.000 fra sopravvissuti, poliziotti, vigili del fuoco, soccorritori e residenti della Lower Manhattan, che vennero poi curati per le patologie derivanti: respiratorie, oncologiche, oculistiche, gastrointestinali, disturbi mentali quali depressione e stress post-traumatico. Nei due mesi seguenti agli attacchi, negli ospedali di NewYork fu registrato un aumento del 50% di pazienti ricoverati per infarto miocardico, rispetto ai casi rilevati nei due mesi precedenti. Infatti, come nei lutti o nelle calamità naturali, le condizioni di stress emotivo, anche postumo, possono indurre una cardiomiopatia da stress, denominata dai ricercatori giapponesi come Tako Tsubo (trappola per polpi), poiché le alterazioni cinetiche nella fase acuta, rendono il ventricolo sinistro simile ad un cestello utilizzato dai pescatori.
Tale sindrome, nota anche come ‘del cuore infranto’ o ‘broken heart syndrome’ è scatenata nel 44% dei casi da eventi emotivamente riconducibili a violenti alterchi, alla ricezione di cattive notizie o perdite finanziarie, a furti o incidenti e, nel 90% dei casi, colpisce il sesso femminile in epoca post menopausale. Lo stress acuto, ovviamente dannoso per il cardiopatico, può nuocere gravemente anche a soggetti sani con un aumento del 15% del rischio cardiovascolare. Benché la sintomatologia sia simile a quella dell’infarto (dolore al petto o dispnea) e l’elettrocardiogramma mostri alterazioni analoghe così come i valori della troponina, alla coronarografia le arterie risultano normali nella maggior parte dei casi, mentre con la ventricolografia e l’ecocardiogramma si evidenzia un particolare aspetto ‘a mongolfiera’ della parte apicale del cuore.
Pertanto, al fine di migliorare le possibilità di diagnosi di questa particolare condizione, un consenso internazionale di esperti ha recentemente proposto un algoritmo diagnostico per la valutazione dei pazienti che afferiscono nei reparti di emergenza con sintomatologia sospetta. La situazione di allarme infatti, comporta un’attivazione della corteccia cerebrale e del sistema nervoso autonomo con brusca e massiva immissione in circolo di cortisolo e catecolamine che inducono una vasocostrizione delle coronarie e del microcircolo con riduzione del flusso e conseguente ischemia miocardica. La catena di eventi sembra articolarsi in primo luogo mediante l’iperattivazione dei centri cognitivi del cervello e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con un rilascio proporzionale di catecolamine in risposta ad un determinato stress. Anche se il preciso meccanismo fisiopatologico di questa sindrome non è ancora completamente chiarito, nei pazienti con un trigger emozionale l’aumento delle catecolamine determina degli effetti vasocostrittori nel microcircolo coronarico ed un effetto tossico sui miociti, inducendo la tipica transitoria disfunzione del ventricolo sinistro: l’apical ballooning (mongolfiera) che usualmente regredisce entro i primi 3-6 mesi dall’evento. Alla luce di recenti studi, la presunta benignità di questa sindrome è stata sfatata, in quanto nonostante i meccanismi fisiopatologici siano diversi, la mortalità intra-ospedaliera ed ad un anno, è simile a quella riscontrata nell’infarto miocardico tradizionale. Nell’ambito della comprensione dei meccanismi che possono indurre tale cardiopatia da stress alcuni ricercatori hanno osservato come la attività della amigdala, struttura encefalica preposta a regolare le emozioni ed in particolare la paura, fosse più attiva in persone colpite da disturbo post-traumatico da stress o anche da ansia o depressione. Questa struttura, ritenuta il centro di integrazione di processi neurologici superiori, è l’archivio della nostra memoria emozionale, ed in condizioni di stress stimola la produzione midollare di leucociti che evocano una risposta riparativa e l’attivazione endoteliale con conseguente formazione e progressione della placca aterosclerotica. Questa teoria è supportata da dati sperimentali e dalla contemporanea elevazione di marcatori dell’infiammazione nella malattia aterosclerotica coronarica. I ricercatori, dunque, hanno verificato un legame tra questi elementi apparentemente scollegati, rilevando come nei pazienti con disturbo post-traumatico da stress o affetti da disturbi psichiatrici, coloro che mostravano livelli più alti di stress, misurati in base a test psicologici, presentavano un’attività dell’amigdala più elevata e maggiori livelli dei marker di infiammazione nel sangue e nelle pareti arteriose.
La sindrome di Takotsubo è stata talvolta riportata anche contestualmente a disturbi neurologici, in particolare ictus, emorragia subaracnoidea, trauma cranico, emicrania e convulsioni. Benché gli eventi precipitanti possano essere rappresentati da una combinazione di fattori emotivi e fisici, una intensa emozione può essere scatenata anche da un evento lieto, come una vincita alla lotteria, una nascita o la vittoria della squadra preferita, e per cui un picco di gioia estrema può indurre la cosiddetta ‘sindrome del cuore felice’ «ci sono giorni in cui credo di morire per un overdose di felicità» (Salvator Dalì).
Questa sindrome è dunque un paradigma della connessione tra mente e cuore e di come gioia e dolore, pur intrinsecamente distinti, utilizzino gli stessi meccanismi di feedback percorrendo circuiti comuni e producendo medesimi effetti. I sentimenti forti viaggiano sugli stessi percorsi emotivi nel sistema nervoso centrale e le reazioni di aree cerebrali, come l’amigdala, coinvolte nell’elaborazione delle emozioni, sono documentabili con la risonanza magnetica funzionale. Ulteriore similitudine delle reazioni cardiovascolari determinate da emozioni sia negative che positive è data dalla constatazione che, anche in quest’ultima condizione, la popolazione femminile è più vulnerabile, particolarmente nel periodo post menopausale, per la perdita dell’effetto protettivo estrogenico. È interessante notare come nei pazienti di sesso maschile, che rappresentano il 10% dei casi, l’evento precipitante sia uno stress fisico, mentre nell’altro sesso è il trigger emotivo ad indurre più frequentemente questa condizione. Che la donna mostri una maggior emotività, banalizzata come fragilità, è un luogo comune, ma che le neuroscienze abbiano confermato differenze di genere nella gestione delle emozioni e nella intelligenza emotiva, è una evidenza scientifica.
Ora sono sicuro di avere un cuore,
perché mi si sta spezzando.
Il boscaiolo di latta nel Mago di Oz