Diversamente abili
di Nicola Iacovone
Dall’inserimento, all’integrazione e – attualmente – inclusione
Parlare di attività sportiva nelle persone portatrici di disabilità è cosa molto complessa, e comporta diversi aspetti da prendere in considerazione.
Secondo il punto di vista giuridico, la persona disabile è colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare uno svantaggio sociale o di emarginazione.
Il primo a riconoscere l’importanza della collaborazione attiva del paziente nel processo di guarigione nella disabilità fu, nel 1944, il Dott. Guttman, neurochirurgo e direttore di un centro di riabilitazione motoria vicino Londra. Egli evidenziò che nel ‘lungo e doloroso percorso’ di riabilitazione medica che il soggetto subiva, generando in lui un pesante stato di depressione, giocava un ruolo determinante l’attività sportiva. Guttman accertò che creando un ambiente favorevole e programmi di allenamento adeguati alla loro condizione fisica, era possibile stimolare e motivare quei ragazzi a ‘ri-costruire’ attivamente la loro esistenza, sia pure in condizioni diverse.
Accanto a tutta una serie di caratteristiche proprie del soggetto disabile (eziologia della menomazione, epoca di insorgenza, grado e tipo, compromissioni estetiche, ecc.), intervengono fattori individuali di personalità e ambientali riferiti alle condizioni sociali, economiche e culturali del paziente stesso e del nucleo familiare a cui appartiene.
Ed ecco che abbiamo assistito dapprima ad una progressiva evoluzione della terminologia ad essi riferita: persone ‘handicappate’, ‘diversamente abili’, ‘con disabilità’…tutti termini che hanno simboleggiato, nel tempo, tanto il modo con cui si definivano e si interpretavano i soggetti interessati, quanto il pensiero teorico ed operativo che muoveva le azioni socio-politiche ad essi rivolte. Tale evoluzione linguistica ha sotteso, nel tempo, anche una progressiva modifica dell’approccio alla categoria: se prima (anni ‘70) si parlava di ‘inserimento’, successivamente (anni ‘80) si passò al concetto di ‘integrazione’ ed infine (convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità) di ‘inclusione’.
Ri-Abilitare le fisio-patologie
Riabilitare un disabile deve significare necessariamente supportare e motivare i bisogni di una persona attraverso interventi rivolti ad esso e all’ambiente in cui vive, mirati tutti ad un processo di crescita armonica e non solo alla ricerca di ipertono-trofie muscolari compensatorie.
La continua immobilizzazione – non solo fisica, ma anche mentale – a cui va incontro il disabile è spesso causa di alcune patologie secondarie che richiedono, in alcune circostanze, ripetuti interventi terapeutici farmacologici ed anche ospedalizzazioni.
Tra esse ricordiamo: le infezioni dell’apparato respiratorio e genito-urinario, i disturbi dell’apparato cardio-circolatorio (cardiopatia ischemica ed ipertensiva), le piaghe da decubito, il sovrappeso fino ai casi di obesità, la patologia diabetica, le poliartralgie, la patologia degenerativa artrosica ed osteoporotica e, non ultimi, i disturbi della sfera emotiva per problemi legati alle difficoltà del linguaggio e della comunicazione.
Per tale motivo si è resa necessaria, ora più che mai, la creazione di strutture ludico-sportive dove il portatore di disabilità possa, a ragion veduta, praticare attività motoria in maniera regolare e continuativa supportato, dove possibile, da personale adeguatamente preparato.
Fino a poco tempo fa, il ciclo riabilitativo successivo alla menomazione era l’unico momento di pratica motoria, e solamente alcuni potevano permettersi la prosecuzione di tale attività grazie alle disponibilità logistiche e familiari.
Nell’era odierna riabilitare i disabili deve necessariamente significare ‘inserimento, integrazione, inclusione’, ossia non va preso in considerazione solo l’accesso nel programma di educazione motoria, ma anche l’accoglimento di esso ed il conseguente adattamento nell’ambito del gruppo di lavoro.
L’obiettivo è quello di promuovere condizioni di vita dignitose ed un sistema di relazioni complete che possano essere soddisfacenti nei riguardi di persone che presentano difficoltà nella propria autonomia personale e sociale, in modo che esse possano sentirsi parte di comunità e di contesti relazionali dove poter agire, muoversi, giocare, scegliere e quindi vedere riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità.
La sedentarietà e l’immobilità a cui è costretto il disabile provocano infatti una serie di modificazioni dell’apparato cardiaco, polmonare ed osteo-artro-muscolare, che si traducono, in ultima analisi, in una riduzione del massimo consumo d’ossigeno (VO2 max). Ad esempio, rispetto ad un normodotato sedentario, il tetraplegico presenta una riduzione dell’80% della VO2 max, il paraplegico del 50%, il non vedente del 20%, e negli oligofrenici tale riduzione può arrivare al 50-60%.
I miglioramenti ottenibili con un’adeguata e personalizzata preparazione psico-fisica si estrinsecano con un innalzamento della VO2 max, che nel paraplegico può aumentare dell’80% della sua funzione residua, nel tetraplegico del 50%, nel non vedente e nell’oligofrenico può giungere ad un innalzamento del 20%.
Altri parametri che rispondono anch’essi positivamente conseguentemente alla pratica sportiva sono: la massima ventilazione polmonare, la forza muscolare, la coordinazione nei movimenti, la postura, il reinserimento sociale con miglioramento delle funzioni intellettive.
Parimenti, è facile osservare una riduzione: dell’incidenza delle malattie cardio-vascolari, polmonari e genito-urinarie; del peso corporeo; della sensazione di fatica; dell’osteoporosi; degli eventi depressivi; delle ospedalizzazioni. In una parola, si osservano miglioramenti della qualità e delle condizioni psico-fisiche del disabile.
Quali obiettivi?
La pratica ludico-motoria permette di soddisfare in modo produttivo alcuni bisogni propri dell’uomo legati all’esperienza di movimento, gioco, agonismo e vita di gruppo, dimensioni che trovano una cornice di realizzazione proprio nello sport. Esso è certamente uno strumento fondamentale per il miglioramento delle potenzialità residue in tutti i gradi di disabilità.
Il percorso da intraprendere, affinché la funzionalità residua presente dopo l’instaurarsi della patologia invalidante possa fruire dei miglioramenti auspicati, si avvale della stretta collaborazione tra il medico (dello sport), il fisioterapista e l’insegnante di educazione fisica.
Tale percorso può essere suddiviso in vari livelli:
- 1° Ri-abilitazione
- 2° Sport-terapia generale
- 3° Attività sportiva amatoriale
- 4° Attività sportiva agonistica
Il primo ed il secondo livello richiedono necessariamente la presenza del fisioterapista, il terzo ed il quarto, la presenza dell’educatore fisico. Supervisore del tutto è il medico, il quale coordina l’attività e valuta di volta in volta i miglioramenti del paziente permettendo ad esso il passaggio dal primo livello ai successivi.
Nelle forme più impegnative (gravi): migliora l’autonomia negli spostamenti ed il riconoscimento e la consapevolezza dei dati senso-percettivi inerenti le condotte motorie messe in atto; nelle forme di media gravità: facilita l’acquisizione di abilità motorie elementari e il loro corretto utilizzo nella vita scolastica, di relazione e di preparazione allo sport; nelle situazioni meno gravi: permette l’acquisizione di abilità motorie più complesse che possono permettere la pratica delle attività sportive.
Ogni atleta con disabilità rappresenta un ‘singolo irripetibile’, con le proprie potenzialità ed i propri disturbi che ad alto livello devono essere considerati nella stessa misura per esaltare la condizione fisica e prevenire patologie relative allo sport. Questo può essere realizzato solo attraverso il lavoro d’équipe tra medico, preparatore atletico, allenatore della disciplina specifica, terapista e giocatore.
Conclusioni: il C.I.P.
Nell’era odierna il Comitato Italiano Paraolimpico (C.I.P.), regolamenta competizioni sportive, per le seguenti tipologie di disabilità:
- Disabilità fisica: lesioni midollari, lesioni cerebrali, amputazioni, ecc.
- Disabilità mentale: ritardo mentale, sindrome di down, sindrome autistica
- Disabilità visiva: non vedenti, ipovedenti
Nell’ambito degli sport per disabili, è preferibile un approccio ‘psico-sociale-sportivo’ che ha come scopo quello di evidenziare le capacità, attitudini e risorse che l’attività sportiva può favorire e compensare, piuttosto che un approccio di tipo ‘sport-terapeutico’, il quale si sofferma sulla ‘mancanza da integrare’. Nello sport per disabili, infatti, un aspetto fondamentale da non tralasciare è quello psicologico. Il giocatore disabile generalmente, pur avendo ricostruito con successo la propria esistenza, investe nello sport tutte le proprie aspettative, e lo sport rappresenta per lui il vero mezzo attraverso il quale far valere il proprio diritto di auto efficienza.
Il ‘patrimonio morale’ dello sport
Lo ‘sport’ inizia nel 775 a.c. in Grecia, dove ebbero inizio le Olimpiadi, rito religioso di devozione al Dio Zeus (a cadenza quadriennale), in occasione delle quali venivano sospese persino le guerre in corso, a dimostrazione che l’esercizio fisico, espressione corporea di culto, lealtà, coraggio, forza e anche di bellezza ed elevazione morale, non dovesse avere finalità economiche di nessun genere, qualificandosi invece come rappresentazione storica di prevenzione e terapia psico-sociale, quasi a voler dire ‘stile di vita’.
L’alta concezione ellenica per l’atletismo è dimostrata dal fatto che ai vincitori, considerati come eroi, venivano dedicate sculture e persino poemi. Nei secoli successivi lo sport perse tali connotati, per poi ripresentarsi durante il Rinascimento e ancor di più nel diciottesimo secolo in Inghilterra, dove nacque il nuovo e moderno concetto di sport quale ‘svago dalle attività quotidiane con acquisizione di elevate qualità interiori e fisico-motorie’.
Questo è il motivo per cui, ai giorni nostri, la visita d’idoneità sportiva mira non solo ad individuare ed eventualmente esonerare i soggetti affetti da ‘patologie a rischio’, ma anche a rassicurare la maggior parte degli atleti, a praticare l’attività sportiva in maniera tranquilla e serena, per coglierne i molteplici benefici.
L’idoneità fisica è la disciplina dell’accesso volta ad accertare nel singolo il possesso di determinati requisiti psico-fisici ritenuti indispensabili ad evitare l’avverarsi di eventi dannosi o pericolosi per la salute individuale e collettiva. Il complesso dei predetti requisiti costituisce la ‘idoneità’, che deve essere di volta in volta accertata prima dell’accesso alla pratica e periodicamente alle scadenze fissate nel tempo.
La tutela sanitaria delle attività sportive viene ad esercitarsi nei confronti di tutti coloro che prendono parte attiva alle diverse forme di sport organizzato, prevedendo accertamenti preliminari e controlli periodici dell’idoneità psico-fisica ai diversi livelli di pratica sportiva (sport professionistico, sport agonistico, sport non agonistico e sport nei diversamente-abili). Ciò si esplica a tutela di un fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività (la salute), nel rispetto della dignità e della libertà del singolo…attraverso la promozione, il mantenimento ed il recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione.
Bisogna darsi da fare, ragazzi. Non perdetevi niente, godetevi ogni secondo,
godetevi ogni cosa.
Io lo faccio tutti i giorni, da quando mi alzo
al mattino a quando metto in carica le protesi delle mani alla sera.
Potete riuscirci anche voi!
Che ne dite? … garetta?
Bebe Vio