Il cuore di Pinocchio
di Francesco Maria Bovenzi
Tratto da Solo con il battito del cuore-Racconti e altre storie,
Maria Pacini Fazi Editore, 2018
Lo scorso anno ero seduto a cena con uno studioso della toponomastica lucchese che mi parlava di via Fontana, apprezzando il mio interesse per le curiosità storiche di Lucca e in particolare per la strada in cui abito.
Sapevo già che nella prima metà del 1200 in via Fontana era vissuta Santa Zita, patrona di Lucca e generosa domestica della nobile famiglia Fatinelli. Per i lucchesi quella strada rappresenta un luogo di culto e di devozione per la presenza del pozzo di Santa Zita ispirato all’importante miracolo della trasformazione dell’acqua in vino.
Aveva con sé un’interessante mappa della Città in cui venivano dettagliati gli edifici sacri di Lucca. La lista dei nomi comprendeva 45 chiese ancora esistenti, 39 adibite ad altro uso e 58 ben indicate ma disfatte. Una di queste ultime era la chiesa intitolata ai Santi Maurizio e Lazzaro in via Fontana, dove è ancora presente il vecchio portale. Raccontava anche che sul finire dell’800 nella stessa strada c’era anche un’osteria cittadina molto nota, che di per sé non farebbe notizia se non per il fatto di essere stata il luogo di ritrovo e di svago di Carlo Collodi, pseudonimo dello scrittore Carlo Lorenzini, che lì si recava a giocare a carte, chiacchierare con gli amici e bere qualche bicchiere di vino.
Il mio stupore fu grande quando scoprii che in quella vecchia osteria Collodi aveva scritto alcune pagine de Le avventure di Pinocchio sotto forma di racconti a puntate, dapprima pubblicati su un settimanale per bambini come supplemento del quotidiano Il Fanfulla, poi raccolti nel libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia e il Corano.
Da più di un secolo la lettura di Pinocchio, simbolo dei bambini ‘senza cuore’ disobbedienti e insofferenti alle regole, affascina adulti e bambini tanto da aver suscitato una serie di infinite interpretazioni. Anni fa anch’io avevo riletto Le avventure di Pinocchio, condizionato dal termine ‘cuore’ più volte citato da Collodi. Non vi è dubbio che la mia lettura sia stata condizionata dall’idea di un importante organo capace di ammalare e di mal funzionare. E in effetti, nel racconto di Collodi Pinocchio lamentava febbre, fiato corto, palpitazioni, dolore toracico che regredivano grazie alla somministrazione da parte della Fatina di una misteriosa e miracolosa polverina bianca.
Ma allora?
Poteva un semplice burattino di legno aver ricevuto dal suo ‘babbino’ anche il cuore?
Cerchiamo di capirlo!
C’era una volta un burattino di legno così caparbio da riuscire infine a diventare un ragazzino in carne ed ossa. Resta ancora oggi il mistero ed il fascino di quella evoluzione.
Quasi tutti sostengono che furono l’orgoglio e l’amore di Geppetto a regalare alla creatura quella felicità che rappresenta il più grande desiderio di ogni essere umano, proprio come fu nella favola del Mago di Oz per il cuore del Boscaiolo di Latta.
La propensione cardiologica spinge molto più in là, fino a considerare il buon cuore del burattino sotto una duplice veste: di luogo dei travagli della sua anima e di organo capace di ammalare. Un mal di cuore per Pinocchio?
Provo a partire da quest’ipotesi, quanto meno speciale, per non dire specialistica!
Che penso? Che faccio?
Costruisco una metafora, descrivo una sindrome, infine, propongo una divertente parabola che ruota intorno al cuore di Pinocchio.
La sensazione che dentro di sé si muova qualcosa di vivo e vitale fa dubitare molto presto il nostro eroe di non essere un semplice burattino. Anzi, è proprio questa certezza il motore della lenta trasformazione di Pinocchio da marionetta a uomo. In effetti, la percezione della vitalità di quel pezzo di catasta è presente sin dai primi momenti del racconto. Infatti, come per qualsiasi bambino durante il parto, si manifesta anche per Pinocchio con un lamento rivolto a Mastro Ciliegia: non mi Picchiar tanto forte, tanto da stupirlo di paura e da fargli esclamare: ma di dove sarà uscita questa vocina che ha detto ohi? Eppure qui non c’è anima viva. Che ci sia nascosto dentro qualcuno?
Nel binomio anima e cuore di Pinocchio è custodita tutta la magica poesia del racconto.
Il cuore come organo supremo che comanda alla vita è consumato in parti eguali: come anima, vitalità, energia, forza, sentimento e come motore, che spinge la linfa vitale nel petto del burattino.
Dove si nasconde la magia di questa fantastica e duplice embriogenesi organo e anima, che vive il cuore di Pinocchio? Quando Mastro Geppetto, … che pure aveva un cuore grosso dalla passione ebbe trovato il nome al suo burattino, allora cominciò a lavorare e gli fece subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi. Dopo gli occhi fece il naso, … un nasone che non finiva mai. Dopo il naso gli fece la bocca, … smise di ridere, ma cacciò fuori tutta la lingua. Dopo la bocca, gli fece il mento, poi il collo, le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani. Restavano da fare le gambe ed i piedi. Quando ebbe finito … lo posò in terra, sul pavimento della stanza per farlo camminare, … voleva dargli subito una buona tiratina di orecchi. Ma figuratevi come rimase quando, nel cercare gli orecchi, non riuscì di poterli trovare: si era dimenticato di farglieli.
Ed il cuore?
Geppetto lo aveva dimenticato?
No, lo aveva semplicemente nascosto. Nelle grandi storie dietro una mancata citazione c’è sempre una parola o una storia nascosta.
Pinocchio aveva un cuore!
Sappiamo che mentre camminava con passo frettoloso – per la strada che menava al Campo dei miracoli – il cuore … batteva forte e . . . faceva tic, tac, tic, tac, come un orologio da sala quando corre davvero.
Pinocchio in verità più di una volta aveva confessato, come alla Marmottina, di non avere neanche uno zinzino di cuore. Ma davvero? Ed allora?
Un’altra delle sue bugie … lascio pensare a voi se il cuore del povero Pinocchio cominciò a battere più forte quando pensava ai capelli d’un color turchino sfolgorante della bella Bambina.
Nei momenti di maggior sconforto sembrava rimproverare a Geppetto di non aver ricevuto un cuore, anche se pensava ad un’anima, allorquando ripeteva di essere ingrato e senza cuore, come quando uccise il grillo e poi scoprì che la fame è una brutta malattia, … più forte della paura. In fin dei conti ogni piccolo sfogo sembrava che gli venisse proprio dal cuore, tanto da non riuscire a frenare l’impeto del suo buon cuore quando saltava felice al collo di Geppetto.
In altri momenti invece, quando aveva paura ed era sconsolato ed inquieto, come durante l’arresto dopo un combattimento con i compagni, un semplice pensiero si trasformava in una spina acutissima che gli bucava il cuore, quello stesso cuore eccellente, che infondo aveva quando si mosse a compassione per salvare un cane che annegava.
Il cuore fu anche il suo coraggio, allorquando tremulo dal freddo e dalla paura e dall’acqua che aveva addosso, si fece cuore e bussò una seconda volta e bussò più forte per sollecitare la lumaca ad aprirgli la porta.
E fu ancora il cuore a parlargli quando confessò a Geppetto di averlo riconosciuto in mare da lontano nella barchetta, solo perché glielo diceva il core.
Ma d’altra parte, sono proprio le numerose avventure, vissute in modo fin troppo frenetico, da apparire come drammatiche vicissitudini che svelano l’altra ‘qualità’ del cuore di Pinocchio, quella di essere un organo che può affaticarsi ed indebolirsi a tal punto da ammalarsi.
E così fu infatti.
Si direbbe una complessa sindrome visto che, travagliato da un febbrone che non si dire, fu visitato dai tre medici i più famosi del vicinato, capaci solo di pronunciare un elenco di scarni sofismi. Un consulto dal sapore di sconfitta; ed a nulla servì l’obiettività rilevata dal corvo che tastò il polso, poi il naso, poi il dito mignolo dei piedi.
La civetta ed il grillo parlante avrebbero potuto quanto meno ipotizzare un’infezione da ‘pasteurella pestis’, in quei tempi una malattia infettiva epidemica in Toscana, per la quale i sonorissimi starnuti del burattinaio mangiafuoco rappresentavano un classico sintomo iniziale di questo autentico flagello. Dunque, il suo incontro con Pinocchio poteva essere una valida occasione di contagio.
Ancora oggi, ‘God bless you’, che Dio ti benedica degli anglosassoni è rivolto a chi starnutisce, un augurio teso a esorcizzare l’antica paura della peste polmonare. Tuttavia, uno studioso del cuore analizzando la storia clinica di Pinocchio si convince rapidamente sull’infondatezza di quella semplicistica ipotesi di peste, l’unica fino ad oggi formulata e condivisa in letteratura dagli studiosi di Collodi.
La malattia del febbrile burattino fu piuttosto dovuta ad una grave patologia cardiovascolare. Se infatti si analizza la storia clinica del caso, si può ragionevolmente documentare: la presenza di fiato grosso, come un cane da caccia, la tachicardia, come un orologio da sala quando corre davvero, la strana sensazione di spina nel cuore e, infine, quell’inatteso febbrone da non si dire.
Miocardite, pericardite, endocardite o ancora un caso di embolia polmonare?
L’anamnesi patologica rivela infatti, a proposito di quest’ultima ipotesi, l’episodio della bruciatura delle gambe sul caldano pieno di brace accesa. E così, nella affannosa e travagliata ricerca del suo cuore ‘nascosto’, il febbrile burattino sotto la
lente del cardiologo diviene un ‘vero’ intrigante cardiopatico.
Chiaramente queste rappresentano solo delle divertenti, quanto tardive ipotesi diagnostiche, perché infine ci pensò la Fata ad accorgersi della febbre di Pinocchio e fu proprio lei, la regina dei dottori, a vincere definitivamente la malattia. Lo fece in modo terreno, escludendo un suo più facile e rapido intervento miracoloso. Scelse cioè la via della scienza e dell’utilizzo di un farmaco in polvere per raggiungere il traguardo della guarigione: bevila ed in pochi giorni sarai guarito.
Un atto medico, una prescrizione terapeutica dal fondamentale sapore educativo, che guarì Pinocchio con la somministrazio ne di una certa polverina bianca in mezzo ad un bicchier d’acqua. … E troppo amara! Troppo amara! Io non la posso bere. Un glucoside dal forte sapore amaro come la salicina? Si potrebbe dedurre, conoscendo oggi le importanti virtù terapeutiche cardiovascolari, che fu questa la prima efficace sperimentazione umana in medicina dei salicilati (cardioaspirina).
È un ulteriore indizio che lascia supporre la presenza di una cardiopatia infiammatoria o di un tromboembolismo polmonare, piuttosto che della terribile peste o dei travagli del suo cuore e anima.
Al di là dell’inquadramento diagnostico, soprattutto a chi, assiduo praticante ed appassionato cultore della professione di Ippocrate, piace riconoscersi in tutta la fatica della fatina nel cercare di persuadere Pinocchio a bere la medicina, … i ragazzi dovrebbero sapere che un buon medicamento preso a tempo può salvarli da una grave malattia e forsanche dalla morte.
Tutta la grazia della bella dottoressa è nella gentilezza, nella dolcezza, nella pazienza, nella pietà: la tua malattia è grave… non hai paura della morte?
Ed ecco che inaspettatamente la morte si materializza, con quell’apparizione fortemente suggestiva e mediatica degli spettri di quattro conigli neri come l’inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.
In questo mancato consenso nell’assunzione della medicina da parte di Pinocchio malato matura tutta la consapevolezza, propria del lavoro di cardiologo, che ancor prima della necessità del farmaco e della terapia, ci deve essere la premurosa presenza del medico perché come Pinocchio diceva: noi ragazzi siamo tutti così! Abbiamo più paura delle medicine che del male.
Ancora più bello è ri / scoprire oggi che in ciascuno di noi batte il suo cuore, quel cuore di tutti, organo e simbolo, energia ed emozione, labirinto di significati con i suoi misteri, le sue logiche complesse, i suoi ritmi, i suoi flussi, i suoi addobbi a corona (coronarie).
Diverte infine pensare che la definitiva trasformazione del burattino Pinocchio in ragazzo in carne ed ossa sia avvenuta anche grazie al cuore malato e forse alle apnee nel sonno di cui soffriva il pesce-cane che, essendo molto vecchio e soffrendo d’asma e di palpitazione di cuore, era costretto a dormire a bocca aperta: per cui Pinocchio poté fuggire col suo babbino e andare finalmente incontro al proprio destino di uomo.
Nell’originale gioco dei binomi cuore / anima, cuore / organo e cuore / vita Collodi ha solo inconsapevolmente nascosto il ‘mal di cuore’ di Pinocchio, riportandolo sotto forma di metafora, di parabola e agli occhi del clinico anche di sindrome.
Il poeta Aldo Cellie ha scritto una bella lirica dedicata al cardiologo di Pinocchio che dice: «ogni giorno scendi nel legno di un burattino, che voleva essere uomo, e tu con le mani di fata riaccomodi il tempo di un cuore appena impazzito».
Tutto questo è esistito nel cuore di quel testardo burattino che inseguendo il cuore ha preferito la vita al gioco, lasciando a noi il difficile compito di scoprire i misteri della sua malattia, tanto che se non è morto è sempre vivo!