Il Cammino di Santiago
On the road
di Marco Coccia
La storia di questo pellegrinaggio inizia nel IX secolo quando, grazie all’apparizione di una stella su di un campo in Galizia, un pio eremita trovò il luogo ove giacevano, dimenticate da secoli, le reliquie di San Giacomo di Zebedeo detto il Maggiore, Apostolo e Martire. Dopo aver predicato il Vangelo per molti anni in Spagna, tornò in Giudea, dove fu martirizzato e decapitato e, come da sue volontà, sepolto poi in Galizia, grazie ai suoi discepoli che ne trafugarono il corpo. La città che qui sorse deriva quindi il suo nome da Santiago (contrattura iberica di San Giacomo) de Compostela (del campus stellae), oggi il capolinea del trekking spirituale più famoso del mondo, una città medievale che, grazie al suo indotto, è divenuta capitale della regione autonoma di Galizia e che ha coniugato la sua iniziale vocazione religiosa a quelle della classica meta turistica divenuta, nel 1985, patrimonio dell’UNESCO.
Scendendo dal Monte Gozo, ultima tappa del Cammino, si entra finalmente nella città vecchia, la città di pietra. Il cuore si allieta, la commozione ha il sopravvento quando, passando sotto un arco, si entra in Plaza del Obradoiro, dominata dalla maestosità della facciata barocca della Cattedrale, meta ininterrotta di peregrinos da più di un millennio. Finalmente ci si libera della muchilla (zaino), si osserva in silenzio questo luogo magico e si entra nella Cattedrale, dove la vista del botafumeiro, l’incensario di 53 chili pendente dal soffitto, ci accomuna in una emozione secolare. Il cammino è compiuto, l’impresa è riuscita, la paura di non farcela si è sciolta, rimane solo la felicità ed il ringraziamento, ma anche la tristezza di tornare alla normalità.
Il botafumeiro, l’incensario di 53 chili pendente dal soffitto
Può capitare nella vita di vivere un evento, un incontro, un’esperienza che può trasformare la nostra esistenza. A me è capitato. Nel 2009, in seguito alla dipartita della mia cara mamma, ho deciso di percorrere il Cammino di Santiago de Compostela. Questo è stato il motivo che mi ha indotto a fare questa esperienza, un pellegrinaggio dedicato alla persona più cara della mia vita. Non potevo immaginare quello che avrebbe provocato in me, una rivoluzione della coscienza, del pensiero e della mia stessa vita. Disponendo di molto tempo per riflettere, passo dopo passo rimettevo in discussione la mia intera esistenza, senza la distrazione della solita quotidianità lavorativa e senza i pensieri, le frustrazioni e lo stress di cui, tutti i giorni, siamo vittime. È un altro vivere, un vivere semplice, è il riappropriarsi di quella vita, a cui tutti aspiriamo ma che non riusciamo a realizzare. Mi ritrovavo a parlare con Gesù che qui ho ritrovato ed ho imparato ad amare, a ringraziarlo per quello che riuscivo a vedere, a sentire, a provare. Non è mia intenzione insegnare uno stile di vita, ma riportare ciò che ho provato e che tutt’oggi provo, ogni volta che cammino.
Camminando per ore in mezzo alla natura si rivaluta il tutto, guardando, osservando e notando tutto ciò che prima mi sfuggiva: un fiore, un albero, un contadino intento a lavorare la sua terra, una mucca, un cavallo, cose che per la prima volta vedevo con occhi diversi, apprezzandole in un meraviglioso contesto naturalistico. Ho imparato a godere della bellezza di ciò che ci circonda e della grandezza del creato, riempiendomi di questa meraviglia di cui spesso non abbiamo il tempo di accorgerci. Il tempo è l’altra dimensione che usiamo erratamente, senza capire quale enorme ricchezza rappresenti. Il tempo passa sempre più velocemente perché in realtà siamo noi a non fermarci, siamo noi a non capire che è il dono più grande insieme alla nostra salute. Il cammino consente di vivere il tuo tempo nella giusta dimensione: lentamente.
Mentre cammino sono leggero, la mia testa è libera, sono felice di arrivare ad un bar e sedermi, bere un birra fresca, togliermi le scarpe. Bere una birra, una normale abitudine che sul cammino assume un significato diverso, perché lo si fa con uno spirito diverso e dopo un grande sforzo fisico. Anche il riposo ed il ristoro hanno un valore diverso perché lo sento come ‘meritato’, quale giusto compenso per lo sforzo fatto. La fatica ed il dolore sono le costanti del cammino ed attraverso i segnali che il corpo mi invia imparo a conoscere molto bene i miei limiti e le mie capacità. Il fisico mi sorprende, così come la mia mente che combatte giorno dopo giorno contro la voglia di lasciare, contro il pensiero del ‘chi me lo ha fatto fare’, ma una forza interiore che unisce mente e corpo fino ad allora sconosciuta mi spinge oltre, è più forte di tutte le forze contrarie e mi fa superare ogni ostacolo. No pain no glory…è una delle massime del cammino di Santiago, senza dolore non c’è gloria, provando fatica e dolore tutto assume un sapore diverso.
Alla fine di una giornata di cammino tutto mi duole: gambe, spalle, piedi, schiena, ma sono felice.
Ho conosciuto gente da ogni parte del mondo, mi sono confrontato con loro, ci siamo raccontati cose che racconti solo al tuo migliore amico. Insieme abbiamo condiviso tutto, difficoltà e dolori, fame e sete, arrivando ad un rapporto così intenso ed intimo solo dopo qualche ora di cammino insieme. Ognuno con i suoi problemi, i suoi lutti, le sue malattie, insieme ci si racconta, si ride, si scherza, si piange. Forse non li rivedrò mai più, ma se li rivedrò sarà come rincontrare un caro amico o una cara amica. Perché Santiago de Compostela, per diversi motivi, è il Cammino più conosciuto del mondo, il più organizzato, il meno costoso e, dopo il 1989, grazie a Papa Giovanni Paolo II che vi organizzò la prima edizione europea della Giornata Mondiale della Gioventù, quello che continua ad attirare costantemente sempre più viandanti dello spirito.
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare
nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.
Marcel Proust