Un aminoacido s(comodo)
di Roberto Addesse
Nel caso della Omocisteina, aminoacido solforato, divenuto particolarmente noto nella prevenzione cardiovascolare, numerose sono le domande in sospeso e per le quali le risposte potranno essere date solo da ulteriori studi scientifici. L’omocisteina è un prodotto chimico che nel nostro organismo si forma a partire dall’aminoacido metionina, uno di quei mattoni su cui si costruiscono le proteine. Durante questo processo di metabolizzazione, può essere riciclata nell’organismo per la (ri)costruzione di altre proteine, ma per il cui processo è necessaria la partecipazione delle vitamine B6, B12 e dell’acido folico. Pertanto, se un individuo ha un deficit di queste vitamine, singolarmente o tutte insieme, l’omocisteina non può essere efficacemente riciclata e tenderà ad accumularsi nel sangue. La Metilen-Tetra-Idrofolato-Reduttasi (MTHFR) è l’enzima che catalizza questo processo chimico, rendendolo più efficace, tant’è che in presenza di mutazioni del gene che ne codifica la produzione, osserveremo una attività enzimatica inefficiente ed un contestuale incremento dei valori ematici dell’omocisteina stessa.
Ma l’idea che l’aumento di quest’ultima potesse rappresentare un fattore di rischio indipendente nello sviluppo della aterosclerosi e di trombosi arteriose e venose nacque nel 1969, con un articolo di Mc Cully, che riportava un’associazione tra l’omocistinuria, una rara condizione patologica in cui i livelli di omocisteina nel sangue sono maggiori di100 µmol/l, ed un grave danno aterosclerotico. Mc Cully osservò infatti che i soggetti con omocistinuria erano destinati a manifestare, nel corso della loro vita, fra l’adolescenza e la gioventù, disordini cardiovascolari gravi, tendenza all’ipercoagulabilità ed anomalie dello sviluppo scheletrico e neurologico.
Nel corso degli ultimi 20 anni sono stati pubblicati numerosi studi per avvalorare o meno l’ipotesi fisiopatogenetica tra incrementi ematici, mutazioni di MTHFR e rischio di malattia cardiovascolare, considerando valori di normalità della omocisteina fino a 15 µmol/l, lievemente aumentati tra 15 e 30µmol/l, moderatamente elevati tra 30 e 60 µmol/l, e come indice severo valori superiori a 60 µmol/l. Nella popolazione normale i valori risultano lievemente elevati tra il 5% ed il 7%, ed in questa percentuale l’incremento di malattie cardiovascolari sembra essere modesto. In realtà non sappiamo se gli elevati livelli di omocisteina siano in grado di agire sulla coagulabilità del sangue o se invece essa sia solo un marcatore di questo aumentato rischio. Infatti, l’osservazione secondo la quale i livelli di omocisteina possono essere efficacemente ridotti dalla supplementazione di vitamine B6, B12 e dall’acido folico, non ha portato come conseguenza ad una riduzione degli eventi cardiovascolari e dei fenomeni trombotici. Ciò suggerisce che l’omocisteina sia in realtà un marcatore dell’aumentato rischio cardiovascolare ma non la causa dei fenomeni descritti, e pertanto la sua riduzione con l’assunzione di tali vitamine ed il consumo di alimenti ricchi di acido folico come frutta, verdura (asparagi, spinaci) e legumi, non sembra svolgere un ruolo essenziale. Quindi, nella prevenzione della malattia coronarica, non ha un razionale scientifico lo screening, su adulti sani, dei valori dell’omocisteina, e della eventuale mutazione del gene MTHFR, mentre tale controllo è fortemente consigliato per la popolazione di soggetti giovani con anamnesi positiva per accidenti cardiovascolari e/o trombotici, e dove si sospetti la presenza della rara omocistinuria, poiché le mutazioni geniche possono essere presenti anche in condizioni di lieve iperomocisteinemia.
Nella popolazione generale esistono due geni MTHFR: alcuni soggetti hanno una mutazione nel gene (eterozigoti) mentre altri hanno due mutazioni su entrambi i geni (omozigoti). La più comune di queste mutazioni è la MTHFR C677T, che negli USA è presente in forma eterozigote dal 20% al 40% dei soggetti di razza bianca e negli ispanici, mentre in Nord America, Europa, Australia abbiamo dall’8% al 20% di individui omozigoti. Sebbene avere una ridotta attività dell’enzima MTHFR possa condurre ad un incremento dell’omocisteina, molti soggetti possono avere livelli normali se la loro dieta è addizionata di acido folico o se assumono acido folico come supplemento. Elevati livelli di omocisteina sono anche stati associati ad una maggiore possibilità di sviluppare il diabete, il morbo di Alzheimer, alcune patologie della tiroide, il morbo di Crohn, l’emicrania e l’ipertensione: anche in questi casi tuttavia non è mai stata dimostrata scientificamente una relazione statisticamente significativa a testimonianza del fatto che probabilmente la proteina non è implicata in maniera diretta nella eziopatogenesi di queste malattie, ma verosimilmente ne costituisce un epifenomeno. Da questo breve excursus, si evince come, ad oggi, non siamo in possesso di evidenze scientifiche tali da giustificare la ricerca di mutazioni di MTHFR nella routine di una valutazione globale del rischio cardiovascolare in prevenzione primaria, ma che questa debba essere limitata a quella classe di pazienti con ipermocistenemia severa > 100 µmol/l e con contestuale omocistinuria, e che parimenti la supplementazione con acido folico e vitamina B12 non determini una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari.