Assistenza sanitaria e Stato sociale
Sua Sanità Pubblica
di Carlo De Luca
(parte III)
N.B. L’articolo presentato su questo inserto, ormai giunto alla sua terza ed ultima parte, era stato già pubblicato dall’autore nel marzo 2015. Considerati i contenuti ancora attuali, si è ritenuto opportuno riproporlo.
Un nuovo paradigma?
Nel 2008 tutte le contraddizioni del neo-liberismo esplodono in una crisi epocale che stiamo tuttora vivendo e dalla quale stentiamo a venir fuori per l’assenza di una visione alternativa che sia credibile in quanto economicamente sostenibile. Le teorie dello Stato minimo si sono rivelate fallaci ed il ruolo salvifico del mercato non si è visto. Con l’avvento del reaganismo ha prevalso una teoria, quella definita neoclassica, basata sul principio che in un regime di concorrenza perfetta la massimizzazione dell’utilità individuale si traduce in ottimizzazione dell’utilità sociale. La realtà si è incaricata di dimostrare che anche e soprattutto in ambito sanitario intervengono potenti fattori di distorsione che alterano profondamente la corretta dinamica concorrenziale. Un fattore in particolare: l’asimmetria informativa.
I meccanismi di distorsione hanno reso alquanto aleatoria la massimizzazione dell’utilità sociale e in sostanza la politica dell’efficienza, sia nei Paesi che impegnavano più risorse che in quelli che ne utilizzavano meno, non ha nemmeno ridotto la spesa sanitaria pubblica. Al massimo ha contribuito a rallentarne la crescita come sembra essere accaduto in Italia, ma solo negli ultimi anni. Si è visto che il prezzo pagato in termini di equità è stato alto. Di fronte a queste evidenze è iniziata una profonda riflessione sulla direzione che l’assistenza sanitaria dovrebbe assumere.
Una certa attenzione è stata dedicata al rapporto tra stato di salute e crescita economica. Rapporto che è evidentemente bidirezionale: da un lato un reddito più elevato sembra garantire uno stato di salute migliore; dall’altro un migliore stato di salute aumenta il livello del capitale umano ed incrementa la produttività con importanti riflessi positivi sia sul PIL pro-capite che sul PIL globale. Per lungo tempo, come riflesso di una cultura sensibile al ‘sociale’, si è studiato solo il primo aspetto, mentre già a partire dai primi anni 2000, in conseguenza di un approccio più sensibile alla sostenibilità economica dei sistemi, si è iniziato ad analizzare anche il secondo. Oggi è opinione diffusa che la correzione dei fattori che generano ineguaglianze di salute sia necessaria non solo allo scopo di eliminare forme intollerabili di ingiustizia sociale ma anche al fine di promuovere una maggiore crescita economica. In altri termini molti giudicano ormai ineludibile, proprio dal punto di vista economico, l’adozione di politiche sanitarie ispirate ai criteri dell’equità intesa sia in senso orizzontale (eguali livelli di assistenza a popolazioni che hanno eguali bisogni), sia in senso verticale (assistenza diversa a popolazioni che hanno bisogni diversi ).
Queste tematiche, nelle quali la questione dei diritti si mescola a quella economica, non sono certo estranee alla decisione del governo americano di varare una riforma sanitaria di grande portata. Voluta da Obama nel 2010 ed entrata in vigore nel 2014, la riforma è considerata il segno inequivocabile della volontà del governo americano di riprendere la strada di programmi di assistenza finalizzati alla correzione delle profonde disuguaglianze sociali che caratterizzano tuttora la società statunitense. Già a distanza di pochi mesi, si è registrata una riduzione importante della proporzione di cittadini privi di assicurazione sanitaria, in particolare negli strati socialmente più vulnerabili. La svolta epocale voluta da Obama ha spinto alcuni osservatori a prevedere addirittura un inevitabile futuro socialdemocratico dell’America.
A prescindere dalle etichette – a giudizio dell’autore, Obama si colloca pienamente nella tradizione americana democratica e liberal – non c’è dubbio che oggi gli Stati Uniti sembrano aver assunto la leadership mondiale di una politica di espansione dello stato sociale che investe anche l’ambito sanitario. E questo perché proprio negli USA si vanno affermando approcci nuovi alla questione dell’assistenza sanitaria. Si è detto che nel secondo dopoguerra, nel periodo che va dal 1948 al 1978, l’estensione in senso universalistico dell’assistenza sanitaria era legata al principio che la tutela della salute fosse un diritto che lo Stato doveva garantire. Oggi, un ulteriore sviluppo appare in qualche modo legato all’aspetto complementare del dovere che caratterizza il diritto alla salute. Nel 2012 la Corte Suprema americana ha rigettato il ricorso contro la riforma sanitaria di Obama che era stato proposto da ben 26 Stati americani sulla base del principio che i cittadini non potevano essere obbligati a comprare un’assicurazione. La Corte Suprema, pure a maggioranza conservatrice, ha respinto il ricorso ritenendo che la salute è un diritto-dovere e non un bene di consumo.
Ulteriori studi sono necessari per precisare meglio l’impatto della sequenza causale: eliminazione delle iniquità, miglioramento dello stato di salute, crescita economica. Se tale impatto dovesse rivelarsi ‘redditizio’, allora tutta la politica sanitaria dovrebbe essere rivista alla luce di un nuovo paradigma. Investire risorse sulla sanità pubblica potrebbe rivelarsi particolarmente conveniente. Sempre che la politica sia capace di strategie di lungo termine e non si impantani nelle tattiche di corto respiro.