Mal d’amore
Dottor aneddoto
di Emilio Merletti
Marzia era davvero una bella donna.
Quarant’anni, lunghi capelli corvini, due occhi azzurro cielo ed un fisico ancora per nulla sfiorato dall’affacciarsi dell’età matura.
Era sempre allegra Marzia.
Sempre piena d’iniziativa. Le piaceva dipingere, suonare il pianoforte, dedicare poesie alla gioia di vivere, ma anche correre per prepararsi alla prossima maratona, o praticare la pesca subacquea, quando d’estate andavano in vacanza all’isola d’Elba, lei e il suo Mario.
Già, il suo Mario. Vivevano insieme da quasi dieci anni ed erano entrambi innamorati l’uno dell’altra.
Così sembrava a Marzia.
O meglio, Marzia ne era convinta, non aveva dubitato un attimo di quell’amore reciproco…fino a quando Mario, una sera dopo cena, davanti al caminetto acceso, aveva vinto l’imbarazzo dei primi monosillabi e le aveva alla fine annunciato che la loro storia era finita e che lui andava incontro ad un altro avvenire, con un’altra donna.
«Lì per lì sembrava niente. Aveva reagito bene, col suo solito ottimismo, e si era buttata anima e corpo nel suo lavoro di arredatrice. Ma dopo poco tempo…» suo fratello Guido era venuto in studio e mi raccontava tutta la sua angoscia per la sorella «…dopo poco più di un mese ha cominciato a disertare gli appuntamenti con i clienti, a non rispondere al telefono, a non curare più la sua persona. E poi ha praticamente smesso di comunicare!»
«In che senso?» gli chiedo.
«Nel senso letterale del termine: non parla più con nessuno. Risponde a monosillabi se le poni una domanda, e tiene sempre lo sguardo basso, sembra fissare il vuoto, come fosse sempre assorta in pensieri cupi».
«Quando posso vederla?»
«Ma no, dottore, volevo solo metterla a parte della nostra preoccupazione…tutta colpa di quel mascalzone! Pensi: da un giorno all’altro ha fatto le valigie ed è sparito nel nulla…comunque abbiamo già contattato uno psicologo che mi ha consigliato un amico, col quale Marzia inizierà una serie di colloqui a partire dalla prossima settimana». Non sono abituato a forzare la volontà dei pazienti e dei loro familiari. «Va bene Guido. Comunque tenetemi informato. Sono a disposizione per ogni necessità».
Passa del tempo, forse un paio di mesi, ed ecco Guido ricomparire in studio. Questa volta con Marzia. Lei si fa tenere la mano da suo fratello e cammina lentamente, gli occhi al pavimento. «Sedetevi. Come va, Marzia?»
«Non bene, dottore». È Guido a rispondere. «Lo psicologo si è arreso. Marzia non vuole proprio saperne di aprirsi con lui, tant’è vero che dopo i primi due o tre incontri senza successo ci ha consigliato di aggiungere un supporto farmacologico. E allora ne ho parlato con la mia amica Giulia, che è psichiatra…la conosce no?»
«Sì, di vista»
«…e lei mi ha consigliato questo farmaco». Mi mostra una confezione di compresse di Venlafaxina da 75 mg. «Gliene abbiamo dato prima una compressa al mattino, dopo una decina di giorni, visto che non cambiava nulla, una al mattino e una la sera. Pochi giorni fa ho sentito di nuovo Giulia, che mi ha detto di aggiungere un medicinale che si chiama, mi pare…Topamax…ma…»
Lo interrompo e mi rivolgo direttamente a Marzia, alzando un poco la voce. «Come stai, Marzia?» Silenzio. Per tutto il tempo lei è rimasta immobile, a fissare le sue mani tenute in grembo. «Vuoi dirmi qualcosa? Vuoi parlarmi un poco di te?» Niente. Per una volta, anche se non mi piace, decido di formulare domande chiuse. «Stai bene, Marzia? »
«…sì».
«Sei venuta volentieri da me?»
«Sì…» con un filo di voce.
«Non è che Guido ti ha portato qui contro la tua volontà?»
«…no».
A questo punto decido di essere brusco, anche un poco brutale. Alzo ancora di più la voce. «Allora mi stai prendendo in giro! Se continui a non rivolgermi la parola debbo pensare che non ti fidi più di me! Eppure ti curo da quando eri bambina! Pensi che io non sia in grado di aiutarti, vero? Mi ritieni un imbecille!»
Un attimo di silenzio assoluto poi, d’improvviso, l’epifania. «…eeeeh…noo veero!!!»
Aveva pronunciato quelle poche sillabe con grande fatica. Subito dopo aveva alzato di colpo il viso guardandomi imbronciata, con un’aria di rimprovero, mentre Guido guardava lei con gli occhi e la bocca spalancati.
Non era affatto vero che Marzia non voleva parlare. Semplicemente non ci riusciva! Ora appariva evidente la sua afasia, e ad un sommario esame neurologico notai anche una lieve ipoergia a carico dell’arto superiore destro.
La risonanza magnetica, eseguita pochi giorni dopo, documentava “…un’area di iperintensità di segnale in T2, ipointensa in T1 localizzata in sede periventricolare frontale, a livello della testa del nucleo caudato e del braccio anteriore della capsula interna a sin. Concomitano fenomeni di ex vacuo a carico del corno frontale del ventricolo laterale omolaterale ed asimmetria dei peduncoli cerebrali con ipotrofia del sin. come per fenomeni di degenerazione walleriana…”
Marzia presentava un’afasia motoria conseguenza di un’encefalopatia multiinfartuale. Altro che mal d’amore!
La competenza non era dello psichiatra, ma del neurologo.
L’iter diagnostico evidenziò una doppia mutazione in eterozigosi del gene MTHFR (C677T e A1298C) ed una iperomocisteinemia con carenza di acido folico, responsabili dell’aumentato rischio tromboembolico.
Oggi, a distanza di tre anni dai fatti narrati, Marzia ha riacquistato quasi totalmente le sue capacità prassiche. Non assume più antidepressivi, ma antiaggreganti (ASA 100 mg. /die) ed acido folico, e non partecipa più a colloqui psicoterapeutici, ma a sedute di logopedia.
Soprattutto non pensa più al ‘suo’ Mario, ma ad un altro amore, con il quale ha ritrovato l’armonia e l’entusiasmo della sua vita.
Morale della favola (che favola non è): in medicina le circostanze fanno quasi sempre capo a fenomeni complessi, e quasi mai il ragionamento logico / deduttivo del ‘due più due fa quattro’ porta ad una soluzione esatta, come in un modello matematico.
Il silenzio di Marzia lo dimostra a gran voce!