Lo Smartworking in Sanità si chiama e-Health
Facciamo progressi
di Mario Gentili
L’applicazione più immediata di Smartworking nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale è quella di e-Health, ovvero Telemedicina. Il dizionario Treccani definisce – a mio parere in maniera un po’ semplicistica poiché trascura aspetti fondamentali quali quelli organizzativi e legislativi – la Telemedicina come l’insieme delle tecniche e degli strumenti di monitoraggio e di assistenza sanitaria, realizzato mediante sistemi atti a fornire un rapido accesso sia ai medici specialisti che ai pazienti, prescindendo dal luogo fisico ove essi sono rispettivamente situati. In altri termini, la Telemedicina ha, tra i suoi principali obiettivi, quello di attivare una rete ospedale-medici-territorio, per monitorare i pazienti, assisterli nelle malattie croniche, favorire la cultura alla prevenzione e fornire lo scambio di informazioni sanitarie in tempi utili per la salute dell’assistito.
Avendo a disposizione le attuali tecnologie e infrastrutture di rete, è anacronistico e non funzionale, pensare di dover riempire lo studio del medico ogni volta che si ha il raffreddore o si debba far leggere l’esito di un esame del sangue. Le televisite dovrebbero essere la norma, e le visite fisiche negli studi medici, l’eccezione per gestire situazioni più complesse.
Fatto è che, ad oggi, in Italia, a differenza di gran parte d’Europa, l’e-Heath non è molto diffuso e nelle Regioni, quando presente, non ha caratteristiche di omogeneità. Inoltre, eredita tutte le diffidenze e gli ostacoli che già sono stati della ‘ricetta elettronica’ e del ‘fascicolo sanitario elettronico’.
Ad affiancare le difficoltà culturali, che per secoli hanno inteso il rapporto con il medico come un rapporto diretto, esistono difficoltà oggettive. Tra queste, quelle di natura legale. A tal proposito, un autorevole punto di riferimento è il sito La Legge per Tutti[1]. Sul caso si riporta:
Immaginiamo un dipendente che, sentendosi poco bene e non potendosi per questo recare al lavoro, ma non avendo nello stesso tempo le forze per andare allo studio del proprio medico di base per la visita di controllo, telefoni a quest’ultimo e gli chieda di inviare all’Inps il certificato attestante la malattia. Tanto gli serve, ovviamente, per poter attestare la giusta causa di assenza dal posto di lavoro. Lo può fare? Il medico convenzionato può compilare il certificato con l’attestazione della malattia senza aver prima visitato il proprio paziente? La risposta è negativa. Più volte la Cassazione ha detto che viola il codice deontologico il medico che compila un certificato di malattia senza aver visitato il paziente. La sanzione per il sanitario può arrivare anche alla sospensione per un mese dall’esercizio della professione …
Perfetto! L’ennesimo esempio di una normativa i cui tempi non sono al passo dei cambiamenti sociali, soprattutto in caso di emergenze. Eccoci allora costretti a ricorrere allo spirito di adattamento che ci contraddistingue. La Corte di Cassazione usa il termine ‘senza aver visitato il paziente’ non specificando come il paziente sia stato visitato (forse il legislatore non si è posto neanche il problema che la visita potesse essere effettuata in maniera diversa da quella fisica) e la televisita è una visita a tutti gli effetti e, quindi, lo deve essere anche per la Cassazione.
Alcune critiche sull’adozione della Telemedicina provengono dalla necessità da parte dell’assistito di avere a casa dei dispositivi medici che lo potrebbero far sentire ‘malato’, oppure ‘sorvegliato speciale’. Oggi però, la realtà dei dispositivi mobile è talmente diffusa, anche tra la popolazione degli anziani, da consentire un’interpretazione della Telemedicina tramite mobile: la Mobile-Health (mHealth). Tramite opportune APP installate sul cellulare o sul tablet, è possibile l’interazione video e la trasmissione di parametri diagnostici acquisiti tramite normali dispositivi quali pulsossimetro, sfigmomanometro, termometro, o tramite le app del nostro smart-watch. Da non sottovalutare la capacità di personalizzazione dei contenuti, la possibilità di fornire strategie in tempo reale agli utenti e, infine, la capacità di calibrare l’intensità dell’intervento in base alle esigenze dell’utente stesso.
È evidente che, parlando di salute, e quindi di dati necessariamente sensibili, esistono criticità quali la tutela e l’integrità dei dati personali, la privacy, il coinvolgimento degli operatori, la semplificazione delle regole, gli investimenti necessari, e soprattutto… il cambiamento delle abitudini e della mentalità di pazienti e dottori.
La buona notizia è che l’Italia ha preso la direzione giusta per rimediare agli errori ed ai ritardi accumulati in passato[2].
L’istituzione della task force Covid-19 incaricata di valutare e proporre soluzioni tecnologiche per affrontare l’emergenza, è la risposta che il Governo ha voluto dare alle tecnologie digitali fondate sulla raccolta e l’analisi dei dati (data driven), considerate, a ragione, come pilastri su cui costruire il futuro sistema sanitario nazionale.
Lo sforzo è finalizzato a stravolgere il concetto di assistenza domiciliare che, almeno fino a questo momento, è significato consegnare il paziente alla buona volontà dei propri familiari e del medico curante. Lo stesso Ministero della Salute, in una nota, riporta:
L’obiettivo è individuare, nei prossimi giorni, le migliori soluzioni digitali disponibili relativamente ad app di telemedicina e assistenza domiciliare dei pazienti e a tecnologie e strategie basate sulle tecnologie per il monitoraggio ‘attivo’ del rischio di contagio, e coordinare a livello nazionale l’adozione e l’utilizzo di queste soluzioni e tecnologie, al fine di migliorare i risultati in termini di monitoraggio e contrasto alla diffusione del Covid-19 [3].
Nell’attuazione di un progetto così ambizioso, che sarà da riferimento anche dopo l’emergenza Covid-19, è doveroso salvaguardare il principio di sicurezza declinato nei suoi aspetti di:
- Safety, capacità di evitare che per errore si possa danneggiare la salute del paziente;
- Security, capacità di protezione, nei limiti del possibile, del paziente da un’azione deliberata di danno;
- Resilience, capacità del sistema (gli attori sanitari, le istituzioni, le infrastrutture, etc.) di risposta ai problemi;
- Trust, affidabilità del risultato e capacità di fidelizzazione del sistema;
- Riservatezza e integrità, capacità di assicurare la sicurezza dei dati, che, se mal gestita, può produrre danni enormi.
E qui diventa necessario adottare uno degli assiomi dell’ICT: la centralità dell’informazione. Migliore è il dato e migliore è la funzionalità dell’organizzazione che lo utilizza e che lo deve gestire. Per essere ‘migliore’ il dato non può essere soltanto nativamente digitale ma deve fare parte di una organizzazione progettata e realizzata nel rispetto della semplificazione, della digitalizzazione dei processi amministrativi, della tracciabilità dei dati/processi e del rispetto della normativa.
Il secondo assioma dell’ICT che entra in gioco è quello di una robusta infrastruttura di rete su cui far viaggiare le informazioni. Purtroppo, la situazione nazionale non è molto rassicurante: digital divide, reti poco performanti, soprattutto nelle periferie e nelle campagne, sono una tragica realtà. Senza adeguati interventi strutturali, come ad esempio una copertura nazionale della banda larga, i servizi di telemedicina risulterebbero inutili. Ma c’è ancora una nota positiva: la sera del 6 aprile, alla ormai funesta conferenza stampa serale della quarantena a reti unificate, il premier Conte ha detto che ‘Internet dovrebbe essere un diritto inserito in Costituzione’. In verità, si sono persi dieci anni! Dieci anni fa, Stefano Rodotà giurista eccellente, ma anche profondo conoscitore della rete, dei suoi meccanismi e del suo valore, scrisse una proposta di legge che all’articolo 21 bis recitava: ‘Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.’
In molti lodarono la proposta di Rodotà, molte furono le adesioni del mondo politico. Non se ne fece nulla, perché giudicato un intervento non prioritario in quel momento.
C’è infine una realtà divenuta certezza e già affermata in campo finanziario: la blockchain. Soluzioni di blockchain, che fanno propri i principi della firma digitale e della crittografia, parrebbe la strada migliore e più veloce per garantire gli aspetti di integrità e riservatezza dei dati e prevenire i rischi di cyber attack.
Questa pandemia ha dato una chiara indicazione: c’è bisogno di una riflessione urgente sulla validità dei modelli organizzativi che supportano i servizi sanitari. Non basta solo parlare di aspetti clinici, tecnici e tecnologici. Il vero punto di svolta è nel cambiamento del paradigma dei modelli assistenziali: ‘dal curare’ al ‘prendersi cura’.
L’impianto normativo, anche se deve anch’esso essere opportunamente aggiornato, lo permette già: quello che serve è una serie di provvedimenti per limitare al massimo le differenze tra le Regioni. La sentenza della Corte di Cassazione (la numero 38485 del 2019[4]) ha stabilito che ‘un centro sanitario può essere un hub di molte postazioni, dove il paziente viene aiutato nell’esecuzione di esami e dove vengono forniti gli strumenti e il supporto per la teleassistenza, la televisita, per un teleconsulto o per una tele-cooperazione sanitaria’. Queste postazioni non devono avere l’autorizzazione spettante ad un centro sanitario anche se, ovviamente, dovranno essere in regola con le norme di sicurezza relative ai luoghi di pubblico accesso.
Si potrebbe obiettare: servono forti investimenti! Sicuramente, ma l’approccio deve essere sistemico. I benefici e i risparmi che ne conseguiranno sono ormai fin troppo evidenti. L’Enpam (l’Ente di assistenza e previdenza dei medici) ha calcolato[5] che si potrebbe arrivare a risparmiare oltre 6 miliardi di euro per ogni struttura. Ovvero, 115 euro all’anno in meno pro-capite. Da non sottovalutare poi il contributo che un settore come la telemedicina può dare all’economia: uno studio della BCC Research del marzo 2012 afferma che il valore globale del mercato della telemedicina dovrebbe crescere dai 9,8 miliardi di dollari registrati nel 2010 ai 27,3 miliardi previsti per il 2016, agli oltre 50 nel 2022. Questo dato si inserisce in un quadro più ampio relativo all’intero mercato dell’e-Health che ha un valore potenziale di 60 miliardi di euro, di cui l’Europa rappresenta circa un terzo. Nel terziario, a cui sembra attualmente ispirarsi la Pubblica Amministrazione, l’80% dei macchinari e degli impianti in uso nelle aziende italiane è integrato o integrabile in modalità 4.0. Nei prossimi tre anni, secondo una recente indagine svolta da Farmindustria con Bain & Company, oltre i due terzi delle aziende continueranno a investire in tecnologie digitali, con punte dell’88% nella produzione e del 71% nella R&S.
Insomma, una sorta di New Deal rooseveltiana che permetterà di crescere, di fornire servizi migliori e di costruire una società più responsabile e pronta alle emergenze: #facciamodellapandemiaunoccasione.
[1] https://www.laleggepertutti.it/152403_il-medico-puo-rilasciare-un-certificato-senza-fare-la-visita
[2] https://www.agendadigitale.eu/sanita/telemedicina-cosa-serve-per-farle-funzionare-in-italia/
[3] https://innovazione.gov.it/telemedicina-e-sistemi-di-monitoraggio-una-call-per-tecnologie-per-il-contrasto-alla-diffusione-del-covid-19/
[4] http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato8141133.pdf
[5] https://www.enpam.it/wp-content/uploads/Paper_Enpam-Ict-e-mercato-del-lavoro.pdf
Finalmente si muove qualcosa… burocarzia e procedure ferraginose avranno sempre più vita difficile. Utilizzare al meglio risorse e tempo è ormai diventato un dovere socio-economico.