Le grandi ciclovie che cambieranno l’Italia. In meglio.
di Paolo Pileri
I sogni di linee lente sono desideri di politiche pubbliche
Quando 10 anni fa abbiamo presentato il progetto VENTO, la lunga ciclabile che andrà da VENezia a TOrino per 700km lungo il grande fiume Po, avevamo un sogno preciso: immaginare un filo sottile, ciclabile e camminabile, con il quale aiutare le aree più interne e fragili del Paese a rigenerarsi, attraverso un meccanismo leggero, gradevole e capace di tenere assieme l’urbano e il non urbano, il turismo con la sostenibilità, l’identità e la diversità di quei luoghi così fragili con l’urgenza di generare occupazione duratura, per i giovani e senza snaturare il senso dei luoghi. Una linea da seguire con andamento lento per far scoprire a tutti la bellezza delle terre di mezzo, per ricucire i pezzi scomposti di un paesaggio e trovare che hanno molto da dirci. Altro che il progetto di una strada ciclabile, altro che il piacere della bicicletta per la bicicletta, la nostra ambizione era ed è quella di un progetto di territorio da vestire con un modello di sviluppo alternativo e dignitoso, incapace di stare nella pelle dei confini amministrativi per vestire geografie disegnate obbedendo alla scala della linea lenta. Ovviamente ci hanno dato dei matti visionari, non rendendosi conto che apostrofarci a quel modo era un complimento per noi, perché chi fa ricerca insegue sempre un’utopia che sa di non poter acciuffare, ma altrettanto sa che correndogli dietro potrà percorrere più strada e fare cose impensabili un attimo prima. Fare ricerca è muoversi nell’impensato, provando a dargli una forma comprensibile. Per noi la forma è stata una linea, lunga e lenta. Oggi quell’impensato si sta realizzando, quel sogno che era desiderio di politiche pubbliche e di un altro modo di fare governo di territorio si è fatto strada. I governi nazionali e regionali lo hanno accolto nelle loro leggi, hanno appostato le prime risorse, sono stati banditi le prime gare per i primi livelli di progettazione, si sono istituiti tavoli di monitoraggio presso il ministero delle infrastrutture e i trasporti, i comuni, le imprese e la gente hanno capito che si stava facendo ben più di una ciclabile e oggi siamo alla progettazione definitiva/esecutiva di un paio di lotti[1]. Chissà che fra un paio d’anni si inizi già a fare le prime vacanze lente pedalando e camminando lungo il Po, passando accanto al Castello di Maccastorna nel lodigiano o davanti al palazzo vescovile di Quingentole (MN) o bagnandosi i piedi in Po seduti sul molo di Stagno Lombardo (CR) o godendosi il tramonto a Boretto (RE) o a Bondeno (FE) o cadere estasiati davanti agli antichi vetri romani custoditi nel Museo Archeologico di Adria (RO) o, ancora, gustandosi una meravigliosa Panissa a Trino (VC) o un profumato Krumiro di Casale Monferrato (AL).
La velocità ci rende più ignoranti, la lentezza più consapevoli
Tante sono le cose che si potranno fare infilandole una dietro l’altra quando il filo di VENTO ci sarà. Matti si era prima, lasciando a sé stesso tutto quel patrimonio materiale e immateriale fatto di gusti, bellezza, colori, sapori, suoni, storie, persone, architetture e tanto altro. Pezzi di Italia che sono la nostra storia ma che non conosciamo più, così presi a inseguire solo il filo ignorante della velocità, anzi dell’alta velocità. Ignorante perché chi va veloce è tecnicamente impossibilitato a conoscere quel che sta in mezzo al suo frenetico tragitto che va da un punto A a un punto B. Tutto gli scorre accanto con una rapidità inafferrabile, illeggibile. Così, senza volerlo, ci siamo tutti ritrovati in un’Italia fatta di una manciata di punti, quelli delle città connesse alla velocità, dimenticando quell’Italia bella dentro che sta là in mezzo e che può raccontarci tante cose se ci mettiamo a inseguirle alla velocità giusta: massimo 20 km/h. Ecco perché ci serve andare a piedi o in bici, per tornare a inoltrarci con pazienza tra paesaggi e borghi, boschi e natura, arte e gastronomia scoprendo che il nostro Paese è culla di diversità e bellezza, che il riso lungo il Po si fa in mille modi diversi e tutti hanno la loro bontà. Tutto questo per dire che progettare una ciclabile per noi che abbiamo inventato VENTO è ben di più che il disegno tecnico di una mini-strada o liberare la pur meravigliosa voglia di bici. Più precisamente, progettare una ciclabile turistica è disegnare un modello di sviluppo vero e proprio, un modello culturale potremmo dire, dove si genera occupazione (grazie ai futuri turisti), dove ci si inventa lavoro nelle parti più fragili del Paese, dove si toglie la polvere da una bellezza dirompente che non appartiene solo alle città d’arte italiane, ma a tutta quell’Italia che si è salvata dal degrado della speculazione urbanistica di decenni, dove si costruiscono opportunità per i giovani e dove si prova a usare una linea sottile, lenta, lunga e bella per ricucire una storia di territorio fatta di tante storie che milioni di belle persone a piedi e in bici sono pronte a percorrere. Ma per rendere concreto tutto ciò occorrono uno, due, dieci, cento progetti di ciclovie come VENTO che imbrigliano con leggerezza il Paese in lungo e in largo, come una grande maglia lungo la quale si possono muovere con calma, libertà e sicurezza turisti che oggi non esistono. Quella maglia oggi ha un nome che è Sistema Nazionale della Ciclabilità Turistica (SNCT).
Sistema nazionale ciclabilità turistica
Nato nel 2016 su iniziativa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) e di quello dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT). All’inizio SNCT si componeva di quattro grandi ciclovie che noi chiamiamo dorsali cicloturistiche per il loro carattere strategico e direttore: VENTO da VENezia TOrino ideata dal Politecnico di Milano; GRAB, il raccordo anulare ciclabile attorno a Roma; SOLE ovvero il tratto Verona-Firenze della ciclovia del Brennero; la ciclovia dell’acquedotto pugliese. A queste si sono aggiunte, con la legge di stabilità 2017, la ciclovia Venezia – Trieste (150km), la Adriatica (820km), quella della Magna Grecia (1000 km), la ciclovia Sarda (1230km), la Tirrenica (870km) e quella attorno al lago di Garda (140km). Seguiranno i tratti che servono a chiudere la Firenze-Roma e la Roma-Lagonegro. Quando tutto sarà completato, il sistema sarà una rete con una lunghezza complessiva di quasi 6.000 km, a sua volta connessa a chissà quante migliaia di chilometri di ciclovie locali che, come capillari, andranno a diffondersi per altri territori, altre bellezze, altri paesaggi. Tutto questo, però, non potrà realizzarsi d’incanto o per caso o grazie alle braccia generose dei volontari. Occorrono risorse, visione, politiche, progetti e tanto coordinamento territoriale perché quelle direttrici cicloturistiche non possono essere fatte a spizzichi e bocconi altrimenti non terminiamo più e sicuramente genereremmo ciclabili che sono tutte diverse a ogni chilometro o interrotte qua e là. Serve a nostro parere una sorta di Agenzia pubblica che vi si dedichi con abnegazione e continuità, come peraltro c’è da anni in alcuni nei paesi a nord della Alpi. Insomma, ‘fare’ ciclabili non equivale a tirare delle righe su una mappa o mettere dei segnali o usare le strade secondarie che già esistono. ‘Fare’ ciclabili è un esercizio di pianificazione e progettazione che ha la sua dignità e richiede competenze specifiche e questo è molto bello, perché significa che tanti nostri giovani architetti e ingegneri potrebbero domani dedicarcisi, facendo di quei progetti la loro professione. Una ciclabile ha bisogno di ponti, passerelle, curve, studio dei punti panoramici, intermodalità, protezioni, segnaletica, tecnologie e anche strumenti inediti al nostro pensiero comune, ma che invece sono fondamentali. Ad esempio, lungo VENTO stiamo proponendo di allestire una serie di strumenti salvavita come i defibrillatori, ottenendo la prima ciclovia cardio-protetta d’Italia e forse d’Europa. Lo stiamo facendo assieme alle maggiori società di cardiologia dello sport italiane (GIEC e SICSPORT) dimostrando così che l’interdisciplinarietà può solo migliorare l’esito finale del progetto di una infrastruttura come una ciclovia, che non è meno importante di una autostrada.
Progettare per tutti e non per pochi esperti
Progettare una ciclovia turistica vuol dire innanzitutto pensarla per tutti dove, tra i tutti, la maggior parte sono inesperti che vanno protetti, messi in sicurezza e accompagnati a scoprire il tanto che possono imparare e apprezzare viaggiando lentamente. Una ciclovia turistica non è una pista da corsa, ma di piacere. Per questo ci piace pensarla come il filo di una collana che tiene assieme pietre preziose di diversa natura e non tutte solo di interesse del ciclista esperto. Nel saper tenere assieme questa diversità di temi e cose si genera un qualcosa che assomiglia a una ciclovia ma è, come dicevamo sopra, un vero e proprio progetto di territorio e non società. Non sono progetti di strade, sebbene le norme e la manualistica spesso così le trattano, non cogliendone la dimensione generativa. Sono veri e propri progetti che tengono assieme tantissimi aspetti, allineandoli su un filo sottile ma robusto che rende possibili cose che prima non lo erano. Tecnicamente usiamo dire che si tratta di una pianificazione territoriale ‘line-based’ ovvero che ha una linea come elemento ordinatore e centro di gravità. Linee leggere che attivano i benefici della lentezza rimettendo in gioco un modo di relazionarsi con quel che abbiamo attorno che era uscito di scena da tempo. A pensarci bene, la lentezza è la velocità che più ci appartiene e che frequentiamo da millenni. Inoltre oggi, proprio grazie alla velocità, la lentezza non è più l’unico modo per muoversi. Non è più il limite che non faceva conoscere alla gente il mondo al di là del proprio orizzonte domestico. L’ampio accesso alla velocità ha liberato le morse con cui la lentezza ci costringeva fino a 5-7 decenni fa. Oggi la lentezza possiamo sceglierla perché ne vogliamo cogliere i suoi benefici. E se possiamo sceglierla allora significa che è un diritto di ognuno poterla scegliere. Ed è per questo che sosteniamo che la lentezza è un diritto che ancora conosciamo troppo poco, ma verso il quale le politiche pubbliche dovrebbero investire molto, molto di più, per evitare di farci passare dalla padella alla brace, dalla antica costrizione della lentezza, al moderno condizionamento della velocità che, a ben pensarci, implica sempre un rischio sanitario (gli incidenti, gli effetti da inquinanti, etc.) e un costo (i pedaggi, i biglietti, la alta manutenzione delle sue infrastrutture, etc.) al punto che alcuni non possono permettersela. La lentezza, invece, è per tutti perché tutti o molti di più possono frequentarla. Persino chi ha meno abilità o addirittura è disabile può percorrere una ciclovia o un cammino se questi sono stati progettati adeguatamente. Tecnologia ed evoluzioni dei mezzi oggi consentono a molti che hanno ridotte capacità motorie di compiere tratti di ciclovie che solo 10 anni fa era impossibile fare: è compito di Stato e Regioni garantire che le vie lente siano ben accessibili ai meno esperti e siano sicure ovvero che presentino il minimo fattore di rischio sanitario (no interferenze con veicoli a motore, meglio se cardio protette, scorrevoli, etc.).
VENTO. La dorsale cicloturistica da VENezia a TOrino
Torniamo in conclusione al progetto VENTO, che oggi è quello più avanzato in termini di realizzazione. Come abbiamo accennato, si tratta di una ciclovia non ancora ultimata. Fin dall’inizio è stata pensata sul modello tedesco, ovvero prevalentemente ad uso ciclopedonale, quindi senza la promiscuità con auto e moto. Conta più di 700 km e attraversa 4 regioni, 12 province, 121 comuni, 242 località (www.progetto.vento.polimi.it)[2]. Il tracciato attuale è l’esito di uno studio di fattibilità del Politecnico di Milano a partire dall’ampia reinterpretazione di quella che era un’iniziale traccia ipotizzata da FIAB[3] (indicata come Bicitalia n. 2) ed ECF[4] (Eurovelo 8) che prevedeva uso promiscuo con le auto e l’ingresso in moltissimi comuni allungando di troppo il percorso (nella progettazione delle grandi ciclovie è preferibile un disegno il più lineare e pulito possibile, lasciando a future diramazioni la congiunzione della dorsale ad ogni borgo). VENTO corre in parte in sponda destra e in parte in sponda sinistra scegliendo di viaggiare per quanto più possibile sulle sommità arginali per offrire al viaggiatore l’inedita e potente possibilità di dominare i paesaggi dall’alto e guardare in profondità il territorio, apprezzando panorami e bellezze di insieme che stando a terra non riuscirebbe a godere. Chi pedala per viaggiare lo fa per immergersi nella bellezza e quindi il progettista deve in tutti i modi salvaguardare questo aspetto. Buona parte dell’attrattività del turismo lento sta nell’esperienza che si fa chilometro dopo chilometro più che nei punti di arrivo. Ecco perché la bellezza va curata lungo la linea quasi più che nei punti. Ma purtroppo si tende ad applicare al cicloturismo i criteri del turismo tradizionale che si basa sulla ‘stanzialità’, concentrando tanti sforzi progettuali nei luoghi di arrivo. Invece è il movimento lento e continuo il protagonista indiscusso di ogni viaggio a pedali o a piedi. È lui ad attrarre. È lui a sprigionare emozioni e a disvelare la bellezza, anche guardando un muro scrostato. La cura nel progetto della linea ciclabile è fondamentale e non ci si può arrangiare con qualche cartello e usando strade poco trafficate e magari anche brutte. Procedere in questo modo è, secondo noi, sbagliato, perché significa lasciare ai cicloturisti l’amaro di un’esperienza dove prevalgono la bruttezza, l’insicurezza di un percorso trafficato, il dolore per un fondo stradale troppo e inutilmente sconnesso. Sono tutti inviti a non tornare. Certamente la bellezza ha il suo prezzo e realizzare una grande ciclovia come VENTO infatti costerà 160 milioni di euro. C’è da spaventarsi? Sono soldi pubblici buttati via? Per nulla. Con 160 milioni di euro si comprano 5-7 km di autostrada. Ma, soprattutto, bisogna sapere che le grandi ciclabili europee, ben progettate e ben fatte come quella lungo il Danubio o il fiume Elba o l’Inn in Austria, oggi arrivano a sostenere quasi 5 posti di lavoro per ogni km e producono un indotto annuo che oscilla tra i 100 e i 300.000 euro per km che si scaricano sulle tante attività ricettive, enogastronomiche, culturali e sportive esistenti nei piccoli e medi comuni toccati dalla linea lenta. Sono investimenti pubblici preziosi che generano sana occupazione giovanile, là dove non sapremmo cosa inventarci e dove le soluzioni urbane non sono adeguate. Sono soluzioni che possono aiutare le nostre piccole e medie imprese diffuse sul territorio. Ecco un’altra ragione per non aver paura di fare investimenti pubblici per realizzare queste grandi opere che preferiamo chiamare opere grandi, visto il loro impulso rigenerativo. Poiché, come abbiamo detto più volte, le ciclabili non nascono da sole, occorre che da più parti giunga la richiesta continua a i governi per accelerare il processo di realizzazione e, subito dopo, di gestione unitaria di questa grandi linee che sicuramente potranno cambiare in meglio l’Italia se l’Italia e tanti di noi accetteranno la sfida a cambiare con loro. Covid-19 ci ha insegnato che rallentare è salutare e tanti di noi sono ora più pronti di prima ad accettare questa sfida.
Il progetto VENTO @ Presa Diretta del 08/01/2018 estratto puntata “La bicicletta ci salverà”. La puntata integrale su http://www.raiplay.it/video/2017/12/PresaDiretta—La-bicicletta-ci-salvera-d8e1807c-2f58-4204-8525-4150a7b53c96.html
[1] A luglio 2020 sarà aggiudicato l’incarico per la tratta San Rocco al Porto-Stagno Lombardo (Lombardia) e a seguire quella da Loreo a Chioggia (Veneto). Dopo le tratte emiliane e piemontesi.
[2] Pileri P., Giacomel A., Giudici D. (2015), VENTO. La rivoluzione leggera a colpi di pedale e paesaggio, Corraini Editore, Mantova