Il sole d’inverno: i segreti del pangiallo di Tivoli
di Anna Maria Panattoni
La trasmissione dei messaggi nelle società antiche era davvero attenta e non casuale. Nella Roma dell’Impero una grande attenzione era riservata all’evocazione del Sole – presenza imponente già in tutte le culture del bacino mediterraneo. Oltre che nelle religioni e per le attività umane, l’astro veniva evocato sulle tavole, riproducendone, il più chiaramente possibile, forme e colori e auspicandone la presenza.
Questo rituale incontra, nel centro Italia, i prodotti della terra disponibili – in antico – nella stagione fredda: la frutta secca, quella essiccata e il miele.
Non si sa quando e come, ma, in estrema sintesi, da tale incontro nasce il pangiallo.
In un viaggio nella tradizione e nella cultura dolciaria di Tivoli, città storicamente a vocazione agricola, è stato possibile scoprire i retroscena delle produzioni di famiglia, in pubblico e tra le pareti domestiche.
Dal Forno Zampaglioni di piazza Plebiscito, l’antico procedimento per realizzare il tipico “pancialle”, come quello antico e condiviso tra le mura domestiche: si scelgono gli ingredienti, si mescolano con cura (oggi con l’impastatrice), in modo da amalgamare il tutto senza sminuzzare la frutta, poi si pesano i dolci sgrossati che vengono sistemati in teglia, dove assumono la loro forma definitiva. La spennellatura con l’uovo, capace di conferire il colorito “solare”, precede l’accurata cottura in forno.
Il segreto? Non è uno soltanto. Occorrono:
– la cura,
– la qualità degli ingredienti: 25 kg di frutta secca (mandorle, nocciole, pinoli e noci), 5 kg di canditi (da Zampaglioni usano solo le scorze candite dell’arancia), il miele, la cioccolata, lo zibibbo e un po’ di farina,
– il lavoro di squadra.
Tutte le immagini sono state ottenute per gentile concessione del Forno Zampaglioni di Tivoli