ASPIRI…no?
di Andrea Marcheselli
È proprio quando pensate di sapere qualcosa, che dovete guardarla da un’altra prospettiva.
Era il 1989 quando il visionario professor Keating, nel cult movie L’Attimo Fuggente, sale in piedi su una cattedra per ricordare a se stesso ed ai suoi alunni che bisogna sempre guardare alle cose da angolazioni diverse.
Parimenti, nel mondo medico, la costante ricerca cambia ed in parte rivoluziona le verità e le certezze acquisite, ed impone un ripensamento critico sui percorsi diagnostici e sulle indicazioni terapeutiche. Recenti osservazioni scientifiche, ad esempio, rielaborano e riscrivono l’utilizzo dell’aspirina, o meglio della sua formulazione a bassi dosi – l’aspirinetta cosiddetta cardioaspirina – nella prevenzione cardiovascolare primaria, poiché troppo spesso considerata, tout court, come una miracolosa polizza assicurativa sulla vita e per questo prescritta ed assunta come un innocuo supplemento vitaminico.
Nonostante le attuali raccomandazioni ne sconsiglino l’utilizzo senza precise indicazioni, circa la metà degli over 70 senza precedenti malattie cardiovascolari la assume. Negli USA la utilizzano milioni di persone, senza prescrizione e senza aver mai consultato un medico. Probabilmente le piccole dimensioni, oltre che il nome – che suona come un vezzeggiativo – la rendono un’icona del rimedio universale. La sua storia è millenaria, ed inizia già con gli antichi Sumeri e poi gli Egizi, che conoscevano le proprietà medicamentose dei salicilati ed utilizzavano piante particolarmente ricche di questo composto come il salice, il mirto ed il cetriolo. Anche Ippocrate, nei suoi scritti, proponeva un infuso di foglie di salice per alleviare i dolori del parto ed eliminare la febbre. Ma nonostante, nei secoli, divenne rimedio popolare e panacea per molti mali, solo nel 1763 il reverendo Stone della Chiesa d’Inghilterra, informò la Royal Society che un infuso da lui preparato con la corteccia di salice bianco aveva attenuato la febbre di molti suoi parrocchiani e che tale ritrovato poteva sostituire, con pari efficacia, la chinchona, costosa polvere di corteccia peruviana, utilizzata per le febbri malariche, ma derivante da altra pianta ed il cui principio attivo era il chinino. Nel 1806, il blocco continentale imposto da Napoleone rese impossibile l’importazione del chinino dal Perù, inducendo quindi lo sviluppo e la produzione di quell’estratto così efficace ricavato dalla corteccia della betulla. Molto tempo dopo, nel 1893, un chimico della Bayer sintetizzò un derivato dell’acido salicilico estratto dalla corteccia, con una reazione di acilazione, ed ottenendo così l’acido acetil salicilico, che pur conservando le medesime proprietà terapeutiche, riduceva gli indesiderati effetti collaterali gastrici e ne aumentava la tollerabilità.
Era nata l’Aspirina, il cui brevetto e marchio furono depositati nel 1899, consentendo all’azienda tedesca di distribuirla sotto forma di polvere ed esortando i medici a sperimentarla sui pazienti e verificarne i benefici. Nel 1915 fu commercializzata per la prima volta in compresse e divenne un prodotto da banco, trasformandosi rapidamente nel farmaco più diffuso al mondo, soprattutto per le sue proprietà antiinfiammatorie ed antidolorifiche. Per tale motivo, alcuni studiosi considerarono il Novecento come il secolo dell’aspirina, tanto che il filosofo e saggista madrileno José Ortega y Gasset nel 1929 rappresentò, tra i paradigmi di agio e modernità, anche il possesso di questo farmaco:
Oggi, per l’uomo della strada la vita è più facile, più comoda e più sicura che per i potenti di ieri. A lui importa poco di non essere più ricco del suo vicino, se il mondo intorno a lui gli dà strade, ferrovie, alberghi, un sistema telegrafico, benessere fisico e aspirina.
Nel 1974, il primo trial clinico sulla prevenzione secondaria dell’infarto evidenziò una riduzione del 24% della mortalità nei pazienti trattati con il basso dosaggio dell’aspirina, con una contestuale riduzione della ricorrenza di nuovi eventi aterotrombotici, a fronte di un accettabile rischio emorragico non fatale. La riduzione del tasso complessivo di mortalità per ictus ed infarti, la riduzione delle inabilità derivanti e della demenza, sino ad una funzione protettiva contro il cancro all’intestino, suggerì negli anni successivi più scenari di utilizzo. Tuttavia, questa considerazione non è trasferibile, sic et simpliciter, a tutta la popolazione, proprio per l’estrema eterogeneità degli individui che, tanto in prevenzione primaria, cioè in assenza di precedenti cardiovascolari, quanto in prevenzione secondaria, non necessariamente beneficiano degli effetti dell’acido acetil salicilico (ASA). Per verificare che il beneficio ecceda il rischio, è infatti necessario prendere atto che, sotto l’ampio ombrello della prevenzione primaria, si collocano pazienti con caratteristiche cliniche ed aspettativa di vita molto variabili, e che l’entità della riduzione del rischio cardiovascolare derivante dall’assunzione di aspirina dipenda proprio dal rischio iniziale. Infatti, se l’impiego dell’aspirina in prevenzione secondaria è validato da una miriade di studi clinici e meta-analisi, il suo crescente impiego in prevenzione primaria nasce dalle precedenti convinzioni del duplice ruolo di prevenzione, sia delle malattie cardiovascolari, sia delle patologie neoplastiche del colon retto. L’interesse nei confronti dell’ASA in prevenzione primaria è dunque sempre molto alto. Lo dimostra la pubblicazione di una nuova meta-analisi pubblicata sul Journal of the American College of Cardiology, che ha utilizzato i dati di 15 trial randomizzati e controllati, comprendenti i tre grandi studi pubblicati nel corso del 2018, ASCEND, ARRIVE ed ASPREE, per un totale di oltre 165.000 partecipanti, e dalla cui analisi dei dati non sono emerse differenze significative per quanto riguarda la mortalità totale cardiovascolare e non. Nello studio ASPREE, è stata rivalutata la sua efficacia nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari in soggetti anziani sani ed i cui dati infatti evidenziano solo un maggior rischio di emorragie senza una contestuale riduzione del rischio di eventi cardiovascolari, rispetto al placebo. Anche nel diabete mellito, in cui è maggiore la possibilità di avere accidenti cardiovascolari, il possibile equilibrio tra benefici e rischi, giunge dai risultati dello studio ASCEND, che evidenzia come in soggetti con diabete e senza precedenti aterotrombotici, l’uso dell’aspirina in prevenzione è ampiamente controbilanciata da un aumento significativo del rischio di sanguinamenti maggiori. Contestualmente non è stato osservato alcun effetto sull’incidenza del carcinoma gastrointestinale ed alcun effetto sul rischio complessivo di cancro, benché l’effetto protettivo dell’ASA potrebbe manifestarsi in un arco di tempo superiore ai 6 anni del follow up valutato. In virtù di questi risultati, l’utilizzo dell’Aspirinetta nel diabete tipo 2 in prevenzione primaria andrebbe riservato solo ai soggetti con elevato rischio cardiovascolare ed in assenza di un importante rischio emorragico. Infine, anche lo studio ARRIVE ha valutato l’efficacia in prevenzione primaria della riduzione di morte per infarto ed ictus e la sicurezza della terapia con 100 mg di ASA gastroprotetta, in pazienti con rischio cardiovascolare intermedio (2-3 fattori) senza però registrare particolari differenze rispetto al gruppo dei pazienti trattati con placebo.
In conclusione, seppur sia incontrovertibile che l’uso di ASA sia vantaggioso per i pazienti con patologie cardiovascolari, non c’è chiarezza sui benefici complessivi che la molecola possa apportare in coloro che non hanno ancora avuto un evento cardiovascolare. L’opinione universalmente condivisa dalla comunità scientifica ed avvalorata dagli studi recenti è che la decisione di iniziare la terapia dovrebbe essere valutata caso per caso, così da avere una terapia su misura, una ‘tailored therapy’. La decisione di instaurare una terapia con ASA in prevenzione primaria, la cui dose approvata è di 100 mg/die, nei soggetti diabetici, va presa personalizzando l’approccio a ciascun paziente in considerazione del livello di rischio cardiovascolare e del livello di rischio di sanguinamento, in una valutazione globale ed integrata di rischio/beneficio. Essa deve tener conto delle caratteristiche individuali del paziente, dei benefici attesi, dei potenziali rischi e delle preferenze del soggetto appropriatamente informato. La sfida per definire il possibile beneficio derivante dalla prescrizione dell’aspirina in individui senza precedenti CV, consiste dunque nello stimare la probabilità di incorrere in eventi ischemici rispetto agli eventi emorragici. In questo dilemma, il medico dovrebbe incoraggiare l’assunzione di aspirina per gli individui ad elevata probabilità di eventi CV e bassa probabilità di emorragie, e di scoraggiarla in caso contrario.
Il professor Keating ‘o capitano, mio capitano’ affermerebbe dunque che la Medicina non è una scienza esatta, ma una scienza del possibile e del probabile e che dalle precedenti convinzioni ci si debba sempre elevare in una nuova prospettiva di valutazione per la personalizzazione delle scelte terapeutiche e che forse, in questo caso, la capacità dell’aspirinetta di fare miracoli abbia raggiunto un plateau di tutti gli effetti desiderati e desiderabili.
Non importa cosa vi dicono, le parole e le idee possono cambiare il mondo.
Prof. Keating