Dal Big Bang al principio antropico
La tesi
di Bruno Brundisini
Se chiedete alla gente «Che cos’è il principio antropico?» difficilmente qualcuno vi darà una risposta. Eppure secondo la scienza è proprio grazie al principio antropico che la vita si è potuta sviluppare sul nostro pianeta. Esso fu formulato per la prima volta nel 1973 dal fisico australiano Brandon Carter e nella sua enunciazione più semplice appare di una ovvietà sbalorditiva: noi viviamo in un universo che di fatto permette la vita così come noi la conosciamo. Ma tale affermazione in realtà scaturisce da una conoscenza approfondita e complessa delle leggi della fisica e della cosmologia che mostrano come il nostro esistere è consentito dalla combinazione di innumerevoli ‘coincidenze’ fortunate tutte fondamentali, per cui basterebbe che solo uno degli innumerevoli parametri uscisse fuori dal ristretto margine di compatibilità per cancellare la vita dal nostro pianeta. Pur senza scendere nei dettagli scientifici, vediamo alcune delle proprietà antropiche dell’universo.
La terra è ad una precisa distanza dal sole. Se fosse solo il 5% più vicina, gli oceani bollirebbero, o solo l’1% più lontana, essi ghiaccerebbero. Lo stesso avverrebbe se la massa solare fosse di poco maggiore o minore. Siamo fortunati ad abitare un pianeta che ha un’orbita intorno al sole quasi circolare, con un’eccentricità minima, di solo il 2% che sembra calcolata apposta per garantire un clima ‘vivibile’. Infatti un’eccentricità maggiore avrebbe comportato forti variazioni di distanza dal sole per cui anche in questo caso nel momento di massima vicinanza (perielio) gli oceani sarebbero andati in ebollizione e in quello di massima lontananza (afelio) si sarebbero trasformati in immensi blocchi di ghiaccio, rendendo poco piacevoli sia le vacanze estive che quelle invernali. Anche l’inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta è determinata in modo preciso per il susseguirsi delle stagioni.
L’insieme di queste circostanze fanno sì che la terra si trovi in quella che i cosmologi chiamano ‘zona di abitabilità’, che quindi è estremamente piccola. Come si è detto con questo termine non si intende un luogo fisico, o per lo meno non soltanto quello, ma una condizione frutto dell’incontro di moltissime coincidenze di eventi altamente improbabili che fanno sì che l’acqua si trovi allo stato liquido, con un margine di temperatura tra 0 e 100 gradi, anch’esso estremamente ristretto se paragonato con i valori, soprattutto in su, delle temperature siderali.
La teoria del big bang, oggi suffragata da numerosissime conferme cosmologiche, ci dice che l’universo ha avuto un inizio. È nato circa 13,7 miliardi di anni orsono dall’esplosione di quello che il gesuita e fisico belga George Lamaitre chiamò ‘atomo primitivo’, un ‘punto’ in cui era concentrata tutta la materia, con densità e temperatura inimmaginabili. L’esplosione primordiale di questo ‘punto’ determinò l’origine del tempo e dello spazio e l’espansione (inflazione) della materia con una velocità assai superiore a quella della luce. Quest’ultimo concetto non deve sorprendere, giacché per la teoria della relatività, la velocità della luce non può essere superata solo se viene definita all’interno dello spazio. Già Sant’Agostino ne La città di Dio, intorno al 400, affermava che «il mondo e il tempo hanno entrambi un unico inizio. Il mondo fu creato non nel tempo, ma insieme al tempo». L’atomo primitivo era una ‘singolarità’, cioè un’entità non spiegabile con le leggi fisiche da noi conosciute, che anzi nascevano nel momento stesso della sua esplosione. Quel ‘punto’ era un qualcosa senza ieri che dava inizio alla storia cosmica. Un qualcosa avvolto nel niente, nel non essere, non nel vuoto, perché anche il vuoto è una proprietà dello spazio. Un’espansione che avviene tuttora, forse a velocità ancora superiore a quella iniziale. Contrariamente a quanto si potrebbe credere non fu un fuoco d’artificio sfavillante di colori, ma un’esplosione nel buio assoluto, poiché la luce comparve nell’universo circa 300.000 milioni di anni dopo, quando l’energia elettromagnetica si staccò dalla materia. La teoria del big bang si pone in netta contrapposizione con quella, oggi non più accettata, di un universo eterno ed infinito, statico, non in espansione, teoria postulata fino all’inizio del XX secolo. Peraltro, un suggestivo scenario che si avrebbe in quest’ultimo caso, sarebbe l’illuminazione a giorno del cielo anche nelle ore notturne, per l’esistenza di un numero illimitato di stelle stipate nel firmamento, il cosiddetto ‘paradosso di Olbers’. Nell’ipotesi di un universo infinito non sorprenderebbero le coincidenze che abbiamo enunciato, data la possibilità di combinazioni infinite.
La nostra vita biologica è basata sul carbonio, che è un atomo complesso, con sei protoni. Oggi si sa per certo che esso venne prodotto in quelle fornaci che sono le stelle. La coincidenze che hanno portato alla sua formazione sono davvero al di là di ogni immaginazione. Il primo elemento a comparire nell’universo è stato l’idrogeno, il più semplice, con un solo protone. Dopo circa 200 secondi dalla fusione di due o tre atomi di idrogeno si formarono l’elio ed il litio che hanno rispettivamente due e tre protoni. Il passo successivo avvenne quando all’interno delle stelle si fusero due atomi di elio formando il berillio che ha quattro protoni. La tappa successiva, cioè la formazione del carbonio dalla fusione di un atomo di berillio con uno di elio, sembrerebbe scontata, ma non avvenne facilmente perché in queste condizioni il carbonio decadde immediatamente nei tre atomi di elio. La situazione cambiò quando nella stella incominciò a scarseggiare l’idrogeno e la temperatura salì a circa 100 milioni di gradi Kelvin determinando molecole di carbonio stabili. Ma l’ambiente stellare, anche se suggestivo, non era certo accogliente per la vita. Così, quando la stella, alla fine del suo ciclo vitale, esplose come supernova, il carbonio e altri elementi pesanti vennero riversati su un pianeta. «Tu scendi dalle stelle», le parole del celebre canto natalizio scritto nel ‘700 da Sant’Alfonso, si estendono da Gesù a tutta l’umanità, o meglio al miracolo della Vita. Furono necessari ben 10 miliardi di anni perché ciò avvenisse, per cui anche l’attuale età dell’universo fa parte delle condizioni propizie alla vita. Tralascio altre sorprendenti strane coincidenze tra grandezze fisiche molto diverse fra loro per dire semplicemente che la probabilità che ha portato alla nascita della vita, se fosse solo dovuta al caso, sarebbe di uno su un numero di zeri tanto grande da occupare lo spazio di un intero libro.
Da ciò nacque nel mondo scientifico il principio antropico che portò nel 1986 John Barrow e Frank Tipler a formularlo nelle due proposizioni, debole e forte. Nella prima si afferma che «i valori osservati di tutte le quantità fisiche e cosmologiche non sono ugualmente probabili, ma assumono valori limitati dalla condizione che esistano luoghi nei quali la vita basata sul carbonio possa evolversi, nonché dalla condizione che l’Universo sia sufficientemente vecchio da aver potuto dare origine a tali forme di vita».
Nella sua formulazione forte si afferma che «l’universo deve possedere quelle proprietà che consentono alla vita di svilupparsi al suo interno in qualche stadio della sua storia». Dall’ambito strettamente scientifico esso, soprattutto il secondo enunciato, si è spostato nell’ambito della filosofia suscitando accesi ed interessanti dibattiti.
Non poteva essere altrimenti dato che il principio antropico forte ripropone una nuova prospettiva del rapporto tra l’universo e l’uomo togliendo quest’ultimo dalla posizione marginale nella quale la cosmologia dei secoli scorsi lo aveva relegato come fenomeno puramente biologico inserito in un meccanismo di cui è solo una parte piccolissima.
Il principio antropico forte invece fornisce senza ombra di dubbio una lettura finalistica della storia cosmica volta alla realizzazione dell’uomo in un divenire che non è affidato al caso.
In ciò esso conferisce nuova dignità all’essere umano e luminosità alla scienza, sottraendola al meccanicismo ottocentesco e suggerendo una reinterpretazione della teologia della creazione, in tutte le religioni creazionistiche, ancor più che il big bang da solo, sull’esistenza di un progetto che non solo dà inizio al tutto, ma accompagna l’universo e l’uomo nella sua evoluzione sintropica.
Se il destino dell’universo è stato deciso
in un singolo momento nell’istante del Big Bang,
quello è stato il momento più creativo di tutti.
Deepak Chopra