Handel – Messiah
La discoteca ideale
di Cosimo Cannalire
Handel oltre che autore era anche impresario per i propri allestimenti dovendo pertanto talvolta fronteggiare i rovesci finanziari a cui poteva andare incontro.
Il Messiah nel 1742 risolse i suoi problemi (stava meditando di lasciare l’Inghilterra causa insuccessi a catena e competizione aggressiva).
Dura non poco (due CD pieni) ma l’autore riesce a trattare l’argomento (Gesù Cristo) con leggerezza e sobrietà tale da non risultare pesante o didascalico nell’ascolto.
Il progetto è ambizioso, si basa sia sul Vecchio che sul Nuovo Testamento in un melting pot olistico di tutte le principali celebrazioni liturgiche cristiane incluse quelle anglicane.
I cori, imbibiti di tutta la tradizione inglese del caso, sono estremamente colorati ed allo stesso tempo drammatici, le arie non forzatamente virtuosistiche sono di fatto immediate ed i recitativi non suonano noiosi come un oratorio narrativo del genere poteva far presagire.
L’opera diventa pertanto una playlist riuscita di momenti musicali piacevoli ed intriganti.
L’uso di strumenti d’epoca aiuta ad entrare in modo più filologico nella partitura e non a caso le migliori interpretazioni sono basate su questo assunto.
Christie con Les Arts Florissant è un primo esempio di questa saga musicale, affiancato da McCreesh, Pinnock e Minkowski, ma certamente è Jacobs che ci convince di più in questo ambito: lettura immaginifica, drammaturgica, agile ed espressiva, con approccio ritmico variato, abile uso delle cadenze e tattico degli abbellimenti.
La migliore versione dell’opera è però quella del Dunedin Consort basata sul manoscritto di Dublino, fonte originale dello spartito.
In tale versione esistono cori aggiuntivi e la direzione del clavicembalista Butt ha uno stile immacolato e spontaneo che integra in modo unico i cori con gli episodi di canto dei singoli.
In particolare alcuni solisti (il basso ad esempio) hanno una partecipazione tale da far pensare che cantino per l’ultima volta nella loro vita musicale.
La struttura dublinese dello spartito è rispettata con una cavalleria leggera musicale dei solisti (non più di una dozzina) che partecipano come logica vuole anche ai cori.
Questi ultimi sono teatrali e drammatici; il risultato finale, combinando astutamente scuola interpretativa e sincerità espressiva, è di una freschezza naturale, rivelatoria e gioiosa per un classico del genere.