Il colonnello Mancuso
di Emilio Merletti
…penso a quante volte, nel corso di una sola giornata, bisogna ‘negoziare’ il piano dei nostri provvedimenti con il paziente. È una delle caratteristiche peculiari del nostro lavoro. A volte è facile, a volte no.
Con il colonnello Mancuso fu praticamente impossibile.
Era un militare dell’esercito in congedo. Lo conobbi che aveva poco più di settanta anni. Aveva una cardiopatia ipertensiva, trascurata per lungo tempo, con fibrillazione cronica. Spesso si scompensava, per cui compariva una dispnea, magari non sempre grave, ma che lui non sopportava.
Aveva un carattere rigido e risoluto, tipico dei militari di carriera. Una volta parlavamo del più e del meno, come a volte capita con i pazienti, quando mi disse una frase che ancora ripeto scherzosamente ai miei amici schierati da quella parte politica: «Vede, dottore, la gente di sinistra, proprio perché è ‘sinistra’, ragiona a rovescio!
Per esempio: l’aborto, che è l’uccisione ignobile di un innocente, è per loro una cosa buona, la pena di morte, che è la sacrosanta eliminazione di un delinquente dannoso alla società, è invece un male. I drogati vanno difesi, i militari invece vanno condannati. Vede, con due soli esempi, come le ho dimostrato matematicamente che ragionano a rovescio?». Questo era il tipo.
E dunque, fatalmente arrivò il giorno in cui tentò di mettermi con le spalle al muro.
«Dottore – mi disse – Lei continua a darmi tutte queste medicine per l’affanno. Io fino ad oggi l’ho lasciata fare, ma ora mi sono stancato: glielo indico io un rimedio infallibile!». Non mi offesi: sapevo che mi stimava e mi era affezionato.
Semplicemente quello era il suo modo di esprimersi. «Mi dica, colonnello, sono tutt’orecchi!» risposi tra il serio e il faceto. «Ebbene, mi sono ricordato che quando ero giovane, una volta mi capitò di avere una crisi di asma fortissima. Andai all’infermeria presidiaria e il tenente medico mi fece subito un’endovenosa di efedrina. L’affanno mi passò immediatamente! Magari lei non ci aveva pensato all’efedrina, eh? Allora, dottore, mi inietti una bella fiala di efedrina e facciamola finita una volta per tutte!».
Pensai che forse, con la sua aritmia ipercinetica, l’avremmo davvero fatta ‘finita una volta per tutte’, magari anche prima che l’endovenosa fosse terminata. Ma non potevo dirglielo così brutalmente.
«Colonnello, la ringrazio per il suggerimento, però l’efedrina, che andava bene per la sua crisi asmatica di quando era giovane, ora sarebbe controindicata…»
«Perché? Che viene a dirmi? Che ora sono vecchio? Ma io sono ancora efficiente… in tutto e per tutto, sa?»
«Sì, sì, non lo metto in dubbio, però… vede… ora il suo affanno non dipende più dai polmoni, ma dal cuore».
Non glielo avessi mai detto!
«Il cuore? Ma io ho un cuore perfetto! Me lo disse anche tempo fa il colonnello Vigoni, che è primario cardiologo all’ospedale militare. Mi disse: ‘Mancuso, tu hai un cuore brillante’, capisce? Ho un cuore saldo come uno scoglio! Certamente, se lei continua a non curare il respiro, il cuore prima o poi comincerà ad ammalarsi!». Stavo perdendo il controllo della situazione. Del resto, sarebbe stato inutile spiegargli che Vigoni aveva sicuramente detto ‘fibrillante’ e non ‘brillante’: non avrebbe capito o voluto capire. Mi conveniva prendere tempo.
«Va bene, ma dovrò studiare qualcosa da darle in alternativa, perché l’efedrina in fiale non è più in commercio». Lì per lì si convinse, ma dopo pochi giorni tornò alla carica: «Un amico mi ha detto che in certi stati esteri si trova di tutto…» «Sì, ma non possiamo farci spedire farmaci da chissà dove…» «Dottore… dottore… ma il Vaticano non è stato estero?».
Col passare del tempo cominciò a diventare allusivo: «Lei bisogna che studi, che si informi, ma studi e si informi presto, perché altrimenti la mia malattia diverrà cronica».
Poi divenne sgarbato. Lo trovai un giorno a letto, seduto a braccia conserte. «Come sta?» «Un po’ peggio di ieri, grazie!» rispose senza degnarmi di uno sguardo. «Ma… ha aumentato i diuretici, come le ho prescritto?» «Sììì! Infatti mi ha finito di ammazzare!».
I familiari erano informati di tutto, ma non osavano contraddirlo. Un figlio mi confessò che, a mia insaputa, li aveva convinti a portarlo da un collega, che non aveva potuto far altro che confermare la terapia in atto e… glissare sulla storia dell’efedrina.
Purtroppo le sue condizioni cardiache peggiorarono progressivamente.
Morì, temo, convinto di essere stato ucciso dalla mia insipienza.
(Tratto da: Emilio Merletti, Appunti di un medico di famiglia, Pacini Editore)
Fin quando il medico ci proibisce qualcosa, tutto va bene.
La situazione diventa seria quando
improvvisamente ci permette tutto.
Robert Emil Lembke