Il dott. Arthur Schnitzler
Medici … per altro famosi
di Marco Semprini
“Noi miseri mortali non possiamo mai pretendere di sapere come si giudichi lassù una vicenda umana”
In una famosa lettera datata 14 maggio 1922, un certo Sigmund Freud scrisse:
Sempre, allorché mi sono abbandonato alle Sue belle creazioni, ho creduto di trovare dietro la loro parvenza poetica gli stessi presupposti, interessi e risultati che conoscevo come miei propri. Il Suo determinismo come il Suo scetticismo – che la gente chiama pessimismo – la Sua penetrazione nelle verità dell’inconscio, nella natura istintiva dell’uomo, la Sua demolizione delle certezze convenzionali della civiltà, l’adesione dei Suoi pensieri alla polarità di amore e morte, tutto ciò mi ha commosso come qualcosa di incredibilmente familiare […] Credo che nel fondo del Suo essere Lei sia un ricercatore della psicologia del profondo, così onestamente imparziale e impavido come non ve ne sono stati mai […]. Ho avuto l’impressione che lei conosca attraverso l’intuizione, ma anche attraverso dettagliate forme di osservazione, tutto ciò che io ho scoperto attraverso un lungo e faticoso lavoro sul campo.
La missiva del padre della psicoanalisi ben descrive la complessa e profonda personalità del destinatario, l’austriaco Arthur Schnitzler, la cui notevole opera tenderà sempre all’osservazione lucida dei costumi sociali e delle più intime movenze psicologiche del suo tempo. Profondo conoscitore dell’animo umano, studioso dell’ipnosi, il medico-scrittore viennese incontrò in molti punti il pensiero di Freud di cui era stato tra i primi a leggere la sua Interpretazione dei sogni. L’affinità tra i due personaggi, riconosciuta dagli studiosi, viene evidenziata anche dallo stesso Freud, timoroso nel confrontarsi con una figura che vede come un temibile concorrente delle sue scoperte sull’inconscio, come si evince nella parte finale della sua lettera:
Nel corso degli anni ho cercato di incontrarvi e partecipare a voi […] Credo di avere evitato una sorta di paura di incontrare il mio doppio.
Arthur Schnitzler nasce da famiglia ebraica il 15 Maggio 1862 a Vienna, nella Praterstrasse, chiamata allora Jägerzeile (al terzo piano dell’edificio attiguo all’Hotel Europa, come lui stesso scrive nell’autobiografia Giovinezza a Vienna). Il padre, Johann, professore universitario, apprezzato e noto laringoiatra dell’epoca, spingerà Arthur fin da piccolo verso la professione medica, mentre la mamma, Louise Markbreiter, abile ed appassionata pianista, ne curerà la sensibilità artistica, affiancandolo in sonate a quattro mani per un lungo arco di tempo. Dopo Arthur, primogenito, nascono Julius (1865-1939), futuro ed apprezzato primario chirurgo, e Gisela (1867-1953). La famiglia, benestante, appartiene alla borghesia liberale cittadina che in quel periodo domina la vita viennese e austriaca. Gli Schnitzler sono habitué di eventi importanti e assidui frequentatori di teatri. Molti dei più celebri cantanti e attori viennesi affidano alla cura del Professor Schnitzler il prezioso strumento della voce e ne frequentano assiduamente la casa: questa particolare circostanza di venire a contatto con una così ampia fauna umana, nella Vienna colta, scintillante e leggera della Belle Époque, attivò senz’altro nel giovane Arthur l’estro artistico che sicuramente covava in sé tra gli impegni della professione medica, che ben presto abbandonerà. Come tutti i rampolli della Vienna bene, frequenterà il prestigioso Akademisches Gymnasium dal 1871 al 1879, per poi iscriversi alla facoltà di Medicina dell’Università di Vienna. Dall’età di diciassette anni tiene un diario in cui descrive le sue numerose esperienze sessuali trasferendo poi questa sua ossessione autobiografica nei suoi personaggi: ma è durante gli studi universitari che emerge la sua inclinazione letteraria, con la sua prima opera, L’avventura della sua vita, edita nel 1888, dove compare per la prima volta il personaggio di Anatol, che darà il nome ad un ciclo di atti unici. Nel maggio del 1885 si laurea a pieni voti iniziando la pratica nell’Imperialregio Ospedale di Vienna dove entra nel 1886 come secondo assistente nel reparto psichiatrico diretto dal professor Theodor Meynert (uno dei maestri di Sigmund Freud), da cui apprende le tecniche psicoterapeutiche di ipnosi e suggestione, per poi trasferirsi l’anno successivo nel reparto dermosifilopatico del professor Isidor Neumann. Nel 1988 si specializza come larintologo, ricevendo, poco dopo, l’incarico di medico assistente nel reparto laringologico diretto dal padre (baronismo ante litteram…). Il lavoro che svolge in ospedale e in ambito scientifico è rivolto principalmente ai modi di utilizzo dell’ipnosi terapeutica, ma il vero interesse che coltiva il giovane dottor Arthur è l’arte della scrittura (di questo periodo sono i racconti Ricchezze e Il figlio).
Nel 1893, dopo la morte del padre, lascia l’impiego in ospedale aprendo uno studio privato: di fatto abbandonerà definitivamente la professione medica, che esercitava sin dall’inizio senza convinzione. Dedicherà da questo momento tutto il tempo alla scrittura, completando il ciclo di atti unici Anatol (1893), pubblicando la novella Morire (1894) e la commedia Amoretto, rappresentata per la prima volta il 9 ottobre 1895 al Burgtheater, che gli darà fama e successo. Fervente sarà la produzione letteraria negli anni successivi che vedono la pubblicazione di alcune novelle e diverse opere teatrali, tra cui il discusso Girotondo, oggetto di critica e censura sia in Austria che in Germania, messo in scena, non senza polemiche, solo dopo il 1904 con la caduta dell’impero tedesco e della monarchia asburgica.
È proprio nel mondo del teatro che Schnitzler incontra l’attrice Olga Gussmann, più giovane di lui di vent’anni, che sposa nel 1903; all’intelligenza raffinata e perspicace della moglie lo scrittore affiderà la prima lettura delle sue opere fino alla fine del loro rapporto. La Gussmann gli darà due figli: Heinrich (1902- 1982), attore e regista che farà riscoprire la grandezza delle opere del padre dopo la seconda guerra mondiale, e l’adorata Lili (1909-1928), che mostrerà un animo bizzarro sin dall’infanzia. Continua intanto la sua produzione letteraria con Intermezzo (1905), con cui otterrà il Premio Grillparzer per la commedia. Nel 1908 esce uno dei suoi rari romanzi, Verso la libertà, opera poco conosciuta ma molto cara all’autore dove descrive, come in quasi tutte le sue opere, la degradazione dei valori individuali e culturali del suo tempo. Pubblica poi Beate e suo figlio (1913), Il dottor Gräsler medico termale (1917) e Il ritorno di Casanova (1918), dove Schnitzler rende protagonista di opere di pura invenzione il famoso avventuriero veneziano, riuscendo comunque a cogliere ed evidenziare con grande precisione introspettiva il carattere del personaggio. La crisi del soggetto, che egli pone al centro della sua narrativa e delle sue pièces teatrali, viene attuata spesso attraverso un artificio narrativo messo a punto da lui stesso per descrivere lo svolgersi dei pensieri dei suoi personaggi, conosciuto come ‘monologo interiore’, una tecnica letteraria simile a quella terapeutica delle ‘associazioni libere’ cui l’analista sottopone il paziente. La coscienza, il profondo, l’analisi arguta dei suoi personaggi, l’introspezione e la conoscenza dell’animo umano di cui ne tratteggia in modo meticoloso le linee, pur con un certo pessimismo – «… ciò che logora le nostre anime nel modo più rapido e peggiore possibile è perdonare senza dimenticare» – alimenteranno negli anni il parallelismo con Freud, di cui Schnitzler ne è stato spesso considerato Doppelgänger (letteralmente ‘sosia’).
Molti dei suoi romanzi saranno oggetto di riduzione cinematografica: tra questi il più famoso è senza dubbio Doppio sogno (1926), opera tardiva tra le più note dell’autore, alla cui storia si ispireranno in molti, tra cui Stanley Kubrick che ne farà un capolavoro nel fim Eyes Wide Shut (1999), uscito nelle sale alcuni mesi dopo la morte del famoso regista. Molti episodi segnarono la vita di Schnitzler, portandolo sempre più ad una riflessione introspettiva e pessimistica della vita: la malattia fisica invalidante (una severa forma di otosclerosi iniziata in giovane età), la prima guerra mondiale, gli attacchi della stampa antisemita in seguito alla rappresentazione di Girotondo, il divorzio dalla moglie nel 1921 e, infine, l’esperienza più terribile della sua vita, il suicidio della figlia Lili nel 1928, appena diciannovenne e da poco sposata con un giovane capitano della Milizia fascista.
È un atto inspiegabile, e per Arthur un durissimo colpo dal quale non si riprenderà più. – «Quel giorno di luglio la mia vita si è conclusa. Gli altri non lo sanno e talvolta non lo so neanche io» – le agghiaccianti parole con cui il medico, scrittore e drammaturgo austriaco commenterà il dramma nel suo diario, dove continuerà ad annotare il suo malessere e la dominante avversione al lavoro. Mentre tentava con fatica di riprendere a scrivere la sceneggiatura di un film per la casa di produzione americana Metro Goldwyn Mayer, viene colpito da una emorragia cerebrale: quel pomeriggio del 21 ottobre 1931 cala per sempre il ‘sipario’ sulla sua vita. Riposa nell’ala ebraica del Cimitero Centrale di Vienna. Arthur Schnitzler per metà medico… per altra metà famoso.
Dilettante è chi non è all’altezza delle proprie idee,
ma ne va orgoglioso.
Arthur Schnitzler