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Il dr. Anton Čechov

Medici … per altro famosi

di Marco Semprini

«La medicina è la mia legittima sposa, la letteratura la mia amante: quando mi stanco con una, passo la notte con l’altra». Così descrive Anton Pavlovic Čechov il rapporto che lo lega ai due grandi amori della sua vita, la professione medica e quella di scrittore, lasciando intendere, forse inconsciamente, come la seconda sia quella più intrigante e stimolante.

Il grande drammaturgo russo nasce nel gennaio 1860 a Taganrog, cittadina dell’Ucraina sul mare d’Azov fondata da Pietro il Grande nel 1698 e prima base della marina militare russa. Nelle sue vene scorre il sangue di un servo della gleba: il nonno paterno si era affrancato anni prima con notevole sacrificio pagando la considerevole somma di 3.500 rubli. Il padre Pavel, piccolo commerciante, era un uomo violento e bigotto, un vero e proprio despota che terrorizza quotidianamente tutta la famiglia. «Io e i miei fratelli ci alzavamo al mattino con l’unico pensiero di capire a che ora saremmo stati schiaffeggiati», racconterà lo stesso Čechov. Tuttavia Anton prova rispetto e un affettuoso senso di orgoglio per la difficoltosa vita del padre che, con costanza e intelligenza, tende ad elevare la propria condizione in modo da permettere ai suoi sei figli di studiare. Purtroppo gli affari vanno male, la drogheria chiude per fallimento, vengono venduti casa e mobili e tutta la famiglia si trasferisce a Mosca nel 1876. Il giovane scrittore li raggiunge tre anni dopo, appena terminato il ginnasio, e, arrivato a Mosca, grazie ad una borsa di studio, si iscrive alla Facoltà di Medicina. Gli anni dell’università vedono Čechov iniziare a scrivere brevi racconti e reportage, spinto anche da motivi economici, che pubblica in riviste umoristiche con diversi pseudonimi, soprattutto Antờšha Cechontè, nomignolo datogli dal professore di catechismo al liceo. Sono gli anni dei tumulti politici (tra i fatti più noti si annovera l’assassinio di Alessandro II) da cui lo scrittore però si tiene alla larga, diffidando degli estremismi e delle nuove ideologie, grazie all’impegno negli studi ed al suo innato cinismo. Si laurea nel 1884, e nel settembre dello stesso anno viene pubblicata anche la sua prima raccolta di novelle, Le fiabe di Melpomene, a conferma dello stretto parallelismo tra il mondo scientifico e quello letterario che caratterizza la vita dell’autore.

Il dr. Anton Čechov

Osservatore freddo e razionale, nato umorista, finì per orientarsi verso la drammaturgia ed il pessimismo, forse anche per aver contratto precocemente la tubercolosi, malattia che lo avrebbe portato al decesso in giovane età, e che si era manifestata la prima volta con un episodio di emottisi nel mese di dicembre dello stesso anno in cui si laureò in Medicina…

Il dottor Čechov aveva la fama di essere un bravo medico, ma abbandonò ben presto la professione sanitaria dedicandosi principalmente a quella di scrittore, probabilmente – si dice – a seguito di due spiacevoli avvenimenti. Il primo è legato alla compilazione errata di una ricetta, forse per distrazione, che solo fortuitamente era riuscito a recuperare e modificare prima che fosse mandata in farmacia. Il secondo e più importante, riguarda il decesso di due membri di una stessa famiglia sua assistita colpita dal tifo: vide morire in poco tempo prima la mamma e poi una delle figlie grandi, quest’ultima spirata mentre stringeva la sua mano. Come racconta il fratello Michele, questo episodio segnò profondamente il giovane Anton, tanto da fargli rimuovere la targa che indicava la sua professione di medico dalla porta di casa. Abbandonato così l’iniziale lavoro, seppur non definitivamente (assisterà gratuitamente i contadini e aiuterà la popolazione in occasione di carestie ed epidemie come quella drammatica del colera nel 1892), tra la fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90 dell’Ottocento egli si impegna in una intensa attività di scrittura. Nascono quindi i suoi più celebri racconti, che dal 1887 vennero pubblicati con il nome di Anton Čechov: La steppa, per il quale riceve il Premio Puskin dall’Accademia delle Scienze, La camera n° 6, Racconti di uno sconosciuto, Il monaco nero, Il gabbiano, I contadini, tanto per citarne alcuni. Nel 1895 Čechov conobbe Tolstoj, che più volte aveva manifestato il desiderio di incontrarlo. La loro amicizia, sostenuta da un intenso e reciproco senso di stima ed affetto, non sfociò mai in un vero e proprio amore. Scrive Irene Nèmirosky, nella più nota biografia dell’autore:

È impossibile immaginare due nature più diverse una dall’altra: Tolstoj è fatto di passione, di sublime caparbietà, Cechov è scettico e distaccato da tutto uno brucia come una fiamma, l’altro illumina il mondo esterno con una luce fredda e dolce. Il gran signore, Tolstoj, idealizzava gli umili; il plebeo, Čechov, aveva troppo sofferto per la grossolanità, la vigliaccheria di quegli umili per provare nei loro confronti qualcosa di diverso da una lucida compassione. Tolstoj disprezzava l’eleganza, il lusso, la scienza, l’arte. Čechov amava tutte quelle cose. Ma sicuramente il precipizio tra di loro, che non poté essere colmato, proveniva dal fatto che Tolstoj era credente e Čechov no. Uno aveva una fede tormentata; l’altro, una tranquilla incredulità.

 I personaggi di Čechov sono dei perdenti, e perdono perché ‘non osano’. Meglio dormire e non pensare che pensare e non dormire, sembrava il loro motto. Tuttavia i suoi racconti sono ammirevoli per la semplicità e la chiarezza, straordinari per l’arguzia e il senso d’umorismo; lo scrittore esprime il suo profondo rispetto per la gente umile, e riesce a rendere visibile il dolore e l’inquietudine presenti nella decadente società del tempo, ciò grazie anche alla formazione medico-scientifica che, come lui stesso confessa, influenzerà sempre i suoi scritti. Le sue opere potrebbero essere racchiuse, come ha scritto il critico letterario tedesco Arthur Luther, in un unico grandioso romanzo intitolato Russia, anche se tale definizione potrebbe limitare la grandiosità e l’universalità dell’opera ad un carattere strettamente nazionale.

Il grande autore russo non s’interessò mai di politica, ma si adoperò per la civiltà. Tra le sue azioni più eclatanti in tal senso si ricorda il viaggio all’isola di Sachalin, ai confini della Siberia, fatto con lo scopo di visitare e indagare il mondo delle carceri dove i prigionieri vengono deportati conducendo una vita drammatica, anticipando il sistema dei campi di concentramento che si vedranno nell’Europa del XX secolo. Scriverà l’autore: «tutto ciò che c’è di terribile nella vita si deposita in qualche modo nelle carceri». Dopo un soggiorno di tre mesi, pubblica uno studio molto ben documentato (geografico, sociologico e psicologico), L’isola di Sachalin, che avrà per conseguenza l’abrogazione delle punizioni corporali, oggetto della sua denuncia. Intanto le sue condizioni cliniche peggiorano e nel 1897 ammette di avere la tubercolosi; vende a malincuore il suo podere a Melikhovo nei dintorni di Mosca per trasferirsi a Yalta, città dal clima più secco, tipico della Crimea. La sua malattia tuttavia non rallenta il suo impegno sociale: fa costruire tre scuole e, nello stesso anno, dà l’allarme all’opinione pubblica sulla carestia che regna nelle regioni della Volga promuovendo una raccolta di fondi.

Il dr. Anton ČechovNel maggio del 1901 sposa, quasi in segreto, la miglior interprete delle sue opere, Olga Knipper, giovane attrice del teatro d’Arte che ha conosciuto tre anni prima in occasione della rappresentazione dell’opera Il Gabbiano a Mosca.

Dopo aver assistito al trionfo della sua ultima commedia, Il giardino dei ciliegi, Čechov, già visitato in Italia ed in Francia, si reca in Germania alla ricerca di una possibilità di cura, ma il medico, un luminare, non gli nasconde la verità. Muore, assistito dalla moglie in un hotel a Badenweiler, località turistica della Foresta Nera, il 15 luglio 1904, all’età di quarantaquattro anni. Amante della natura, sensibile ma lucido, tenero ma senza passioni, ferocemente introverso, nelle sue opere, così come nella professione, angoscia e conforta: «perfino essere malato è piacevole quando sai che ci sono persone che aspettano la tua guarigione come una festa». Anche la sua morte assume i caratteri teatrali, ultimo atto della commedia della sua vita, svolto in una lussuosa camera d’albergo, con il medico che prepara la morfina e ordina al vicino ospedale una bombola di ossigeno e lo scrittore che con voce ferma dice «è inutile, meglio ordinare dello champagne, è tanto che non bevo champagne…» Arriva lo champagne, lo scrittore lo beve, si adagia sul fianco, la moglie si porta il fazzoletto agli occhi, cala il silenzio, per sempre.

Che fortuna possedere una grande intelligenza: non ti mancano mai le schiocchezze da dire


Anton Čechovalls

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