IntoSSicati
di Andrea Marcheselli
«Ricordatevi di spedirmi tanto Pervitin, la prossima volta. Fa miracoli». Così Heinrich Böll, premio Nobel per la letteratura nel 1972, in una lettera dal fronte, supplica la famiglia di mandargli, oltre a pancetta e sigarette anche quella ‘pillola che aiuta a rimanere sveglio come un litro di caffè e che dopo averla assunta ogni preoccupazione sembra sparire’.
Dopo aver combattuto sui fronti di Francia, Romania e Russia, più volte ferito ed internato in campo di prigionia americano, descrisse, negli anni successivi, la guerra e la falsità dei suoi valori con il cattolico fervore di un moralismo intransigente, antimilitarista e pacifista. Ma nella Germania nazista, anche per lui la pillola magica che eliminava la stanchezza, combatteva la depressione e rendeva euforici era un conforto usuale, una quotidiana necessità. In realtà il Pervitin era una droga travestita da farmaco, a base di metanfetamina, brevettata nel 1937 da Fritz Haushild, strabiliato dagli effetti delle benzedrine sugli atleti americani arrivati a Berlino per le Olimpiadi del 1936. La sua diffusione fu rapida ed in ogni strato sociale: la assumevano professionisti, sportivi, artisti, impiegati, studenti, casalinghe. Vennero addirittura prodotti cioccolatini al Pervitin.
Quando, nel 1939, Hitler invase la Polonia, i medici militari conoscevano bene il prodotto ed i suoi effetti, ed i comandanti non fecero obiezioni a distribuirlo ai soldati insieme alla quotidiana razione di cibo.
La Wehrmacht era un esercito dopato, dal Führer a Rommel, dagli ufficiali ai soldati al fronte, tutti erano quasi perennemente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, come analizzato e pubblicato da Norman Ohler nel saggio La totale euforia. Lo stato di esaltazione psicologica, che li rendeva non solo euforici, ma anche in grado di mantenere ritmi elevatissimi, divenne un fattore decisivo nella guerra lampo, nell’offensiva attraverso il Belgio. Le truppe tedesche avanzarono nelle Ardenne, senza pausa, ed in quattro giorni annientarono i francesi, sconvolti dallo stato di esaltazione dei nemici e dalla loro capacità di resistenza.
Tuttavia, negli iniziali successi delle armate hitleriane, si celava già il germe della catastrofe, e così gli effetti tossici superarono quelli inizialmente ed apparentemente benefici delle vittorie dopate. Anche la dipendenza dalle droghe, infatti, influì negativamente sullo stato psicofisico degli uomini, contribuendo alle sconfitte finali nella gelida campagna di Russia e sulle bollenti dune del Sahara. Al senso di ariana onnipotenza e di piena efficienza fisica si sostituì uno stato maniacale e delirante che compromise ulteriormente la residua forza militare, anche per le complicazioni cerebro-cardiovascolari, indotte dall’uso ed abuso prolungato.
Anche nei successivi conflitti bellici, il sostegno a paure e fatiche, nonché motore di fanatismi ed ideologie, è stata l’anfetamina ed i suoi derivati, così come con il Captagon, la droga della Jihad, una fenetillina composta dal legame tra anfetamina e teofillina, recentemente utilizzata dai terroristi dell’ISIS.
Parimenti alla diffusione ed all’utilizzo improprio di queste sostanze, le conoscenze fisiopatologiche e gli studi osservazionali hanno confermato che l’insorgenza di ictus ed infarti nei giovani sia frequentemente correlata all’uso di Anfetamine o di prodotti simili come l’ecstasy, proprio per il potente effetto vasopressorio e tachicardizzante. In Italia, le anfetamine sono ritenute illegali ed il loro utilizzo è limitato farmacologicamente alla cura del morbo di Parkinson, della narcolessia e dei disturbi da deficit di attenzione, prescritte sotto stretta sorveglianza medica.
Potenziali complicanze cerebro-cardiovascolari, dovute all’aumentata coagulabilità, possono occorrere anche nei consumatori di cannabis, soprattutto nella prima ora di assunzione, come osservato in studio condotto su 3.882 pazienti in cui il rischio di infarto miocardico è risultato 8 volte superiore (24 volte superiore con uso di cocaina) rispetto ai non consumatori. Molte ricerche comprovano infatti una stretta relazione temporale tra esposizione alla cannabis ed insorgenza di ictus ischemico, anche se non possono escludersi il ruolo di cofattori quali fumo di tabacco e consumo di alcool. Tale rischio aumenta con il concomitante uso ed abuso di altre sostanze stupefacenti ed in presenza di altri cofattori di rischio, quali dislipidemia, ipertensione, obesità e diabete.
La Cannabis o Canapa è una pianta della famiglia delle Cannabaceae. L’uso dei suoi derivati iniziò migliaia di anni fa in Cina per la fabbricazione di tessuti e successivamente nei secoli fu utilizzata per la produzione di carta ed in campo alimentare e medico. Alla specie della Cannabis Sativa presente e diffusa in Europa, si aggiunse la Cannabis Indica, più ricca di principi attivi stupefacenti, importata dall’Africa dopo la campagna di Egitto di Napoleone. L’Imperatore ne vietò l’utilizzo nelle truppe a causa degli effetti psicocotropi, ma fu proprio per questo che essa trovò grande diffusione.
Da allora il suo consumo voluttuario si diffuse particolarmente negli ambienti intellettuali, tanto che nel 1840, nell’Hôtel de Lauzun di Parigi, il gruppo dei poeti maledetti formò il Club des Hashischins dedito all’esplorazione delle esperienze indotte dall’hashish. Nel secolo successivo, dai jazzisti di New Orleans agli hippies di San Francisco, dai cult movie a Bob Marley, l’erba proibita diviene un fenomeno di massa, venendo utilizzata con scopi edonistici ed intellettivi ed assurgendo a stereotipo dell’anticonformismo e della contestazione.
Benché, in tempi più recenti, numerosi studi clinici l’abbiano rivalutata quale pianta officinale per i molteplici usi a scopo terapeutico nelle patologie oncologiche e neurologiche, i consumatori andrebbero informati che la sostanza reperibile illegalmente è ben altra cosa rispetto a quella impiegata per uso medico. La sua pericolosità infatti risiede nelle percentuali contenute di delta-9 tetraidrocannabinolo (THC) rispetto al cannabidiolo (CBD) che non induce effetti psicotici e controbilancia quelli del THC il cui effetto, mediato dalla dopamina, induce un ricreativo senso di benessere e disinibizione ma anche delle aritmie potenzialmente fatali, specie in soggetti con patologia cardiovascolare già esistente.
L’hashish è la resina deidratata estratta dalle cime fiorite della pianta ed ha una presenza del 14,3% di delta-9 THC, mentre la marijuana, che è data dall’insieme di varie parti essiccate della stessa pianta, ne ha una concentrazione inferiore, pari al 3,45%. La progressiva liberalizzazione o tolleranza di quella che viene considerata una droga ‘light’, non rende adeguatamente edotti molti consumatori, anche occasionali, che sottovalutano o non conoscono le complicanze cardiovascolari potenzialmente fatali, ritenendola – erroneamente – totalmente innocua.
Di non minore importanza sono le alterazioni cerebrali, come i deleteri effetti psico-cognitivi, legati al cronico abuso ed associate ad un aumento di insorgenza di disturbi psichiatrici. Nonostante la cannabis sia tradizionalmente definita come droga leggera, sorge il dubbio se – come fu per il tabacco e le sue potenti multinazionali – anche in questo nuovo scenario di consumo il fattore economico possa svolgere un ruolo quantomeno sospetto. Negli Stati Uniti il business legale della cannabis per uso medicale ha un trend di crescita tale da aver quotato al NASDAQ di New York un’azienda canadese produttrice di marjuana con ottimi rendimenti azionari, ed ha aumentato del 445% il numero dei lavoratori impiegati in questo settore. Considerando che l’Italia è il terzo paese dell’Unione Europea per uso di cannabis dopo Francia e Danimarca, ed il quarto per uso di cocaina dopo Gran Bretagna, Spagna ed Irlanda, bisogna informare, soprattutto i giovani, sui rischi e sulla tossicità a breve e lungo termine delle sostanze stupefacenti illegali.
Tra l’utilizzo terapeutico e lo sballo, tra la demonizzazione e la legalizzazione, vale la riflessione che anche i risultati scientifici possano talvolta essere indirizzati o manipolati nell’asservimento dell’idea che si vuole dimostrare.
Ma certamente una canna al giorno, non è una mela, e non toglie il medico di torno.