La corretta informazione del paziente riduce la conflittualità verso il medico
LegalMente
di Alessandro Mattoni
Il tema della responsabilità medica è complesso giacché intercetta ambiti svariati di giudizio, ciascuno rilevante di per sé e tutti insieme convergenti a delineare un quadro ricco di sfaccettature. In origine si alludeva e tuttora principalmente si allude alla responsabilità risarcitoria e penale del medico, quale conseguenza del suo errore; nel prosieguo si è altresì fatto riferimento agli aspetti socio-economici della questione, in relazione sia ai costi del servizio sanitario nel suo complesso, sia al correlato profilo assicurativo per lo svolgimento di un’attività, quale quella medica, denotata da “pericolosità” e fonte di pregiudizio in caso di cattiva pratica. Da ciò, proseguendo per grandi linee, le conseguenti divagazioni in tema di medicina difensiva, le cui ricadute applicative ingenerano costi aggiuntivi a carico della finanza pubblica; determinano un rallentamento del generale servizio sanitario per l’ingorgo causato dal numero elevato di prestazioni, richieste dai medici più a protezione propria che del paziente; conferiscono alla relazione terapeutica una fredda connotazione standard e protocollare, con il progressivo smarrimento della dimensione umana del relativo vincolo improntato su base fiduciaria.
Ed è proprio qui che si addensa un’altra questione, quella della comunicazione del medico con il paziente ed i suoi familiari, la cui rilevanza ancora oggi viene sottovalutata o per lo meno sottaciuta, non trovandosene traccia nei percorsi di formazione dell’esercente attività sanitaria. Eppure si tratta di un aspetto determinante nel contesto della responsabilità medica e, per quel che adesso rileva, fortemente incisivo nel percorso decisionale del paziente sulla perseguibilità o meno del medico responsabile di malpractice. A tale riguardo giova considerare che l’evento di danno non è mai unico né univocamente riconosciuto e percepito dai diversi attori della vicenda. Al contrario, ciascun soggetto coinvolto sviluppa una propria concezione grezza del fatto (inteso come fatto materiale e relativo vissuto emozionale da esso derivante) spesso antagonista l’un l’altra, così che si avrà il punto di vista del medico, orientato ad incasellare l’evento avverso tra le complicanze temute ma sempre possibili; quello del paziente, talora passivamente incline ad accettare l’accaduto quale proiezione della sua malattia e talaltra, invece, aprioristicamente orientato ad attribuirne senz’altro la colpa al medico per non averne egli assecondato le aspettative salvifiche; quello dei parenti, la cui varietà socioculturale è tale da lasciare aperto il campo a qualsiasi illazione. Nel prosieguo, lo scenario può arricchirsi anche di punti di vista ulteriori, quali quello degli avvocati, dei consulenti tecnici e del magistrato: si tratta però di punti di vista scevri da condizionamenti psicologici intrisi nel fatto, finalizzati alla formulazione di un corretto giudizio sull’accaduto ed in ogni caso successivi alla decisione già presa di agire in giudizio, rappresentandone anzi l’inevitabile sviluppo in ambito processuale. Ciò precisato va quindi ribadito che, sulle modalità e contenuto della comunicazione del medico al paziente e suoi congiunti, si gioca in larga parte la partita della giustiziabilità dell’evento di danno e del suo autore. Da ciò la sempre più avvertita esigenza di sviluppare, da parte dei medici, adeguate capacità comunicative verso i propri assistiti i quali – può ben dirlo chi nei tribunali pratica la materia – più che il danno mal tollerano la beffa, tale considerata, dell’informazione mancante, parziale o persino inveritiera. Costituisce invero accadimento raro quello in cui il paziente, raggiunto da corretta e completa informazione sull’occorso, con il riconoscimento dell’eventuale errore da parte del medico (sempre che, ben inteso, non investa livelli di gravità inaccettabili, per imprudenza od imperizia) decida di attivare pretese risarcitorie al solo scopo di trarne lucro.
Accade invece di frequente che, paziente e familiari, non informati sull’accaduto e all’oscuro della reale dinamica dei fatti, decidano di rivolgersi alle corti sospinti da esigenze di conoscenza inopinatamente negate da chi, per primo, avrebbe avuto il dovere di soddisfarle. L’ampiezza del tema mi spinge a farne riserva di tornarci sopra in successive eventuali occasioni.
Quando curi una malattia puoi vincere o perdere,
quando ti prendi cura di una persona, vinci sempre.
Patch Adams