La Medicina basata sull’evidenza (III)
di Carlo De Luca
(Terza Parte)
Informare correttamente il paziente
Informare correttamente il paziente non significa porlo di fronte ad un elenco di tutti i possibili esiti che possono derivare dall’intervento proposto. Significa invece sottoporre al suo giudizio le probabilità degli eventi favorevoli e di quelli sfavorevoli. Questa operazione richiede che il medico proceda ad un’analisi accurata della letteratura e, se possibile, alla razionalizzazione della propria esperienza con metodo concettualmente statistico. Così, se un chirurgo ritiene di dover proporre un intervento, è corretto, al di là delle implicazioni medico-legali poste dal consenso informato, che egli accompagni la proposta con una valutazione rischio-beneficio tratta dalla letteratura ma anche relativa al proprio rendimento.
In linea generale, di fronte all’offerta generica, il paziente si dispone a massimizzare i benefici e a minimizzare il ‘rammarico’ di un’occasione persa, presumibilmente in relazione ad una visione eccessivamente ottimistica delle possibilità della Medicina. Così, secondo uno studio del 1998, il 60% dei pazienti genericamente informati ritenne di aderire ad un programma di screening del cancro del pancreas sottoponendosi ad un test semplice come il dosaggio ematico del Ca 19.9. Il grado di adesione scendeva al 13.5% quando i pazienti venivano informati della dubbia utilità del test (70% di falsi positivi), del fatto che la sua positività avrebbe comportato ulteriori indagini per confermare la diagnosi, della estrema rarità del tumore indagato (incidenza pari a 11 casi ogni 100.000 individui), della sua prognosi comunque infausta (sopravvivenza a cinque anni pari al 3%). A maggior ragione oggi non ci si può sottrarre al legittimo desiderio del paziente di essere trattato sulla base delle migliori evidenze scientifiche.
Integrare l’esperienza individuale
Spesso si tende ad adottare dei comportamenti sulla base della propria esperienza la cui importanza, niente affatto trascurabile, va comunque ricondotta nei suoi termini reali. Se la valutazione soggettiva conserva ancora un ruolo insostituibile in ambito diagnostico, in quanto componente essenziale dell’intuizione e elemento fondamentale per la quantificazione della probabilità a priori, la sua pretesa ‘inferenziale’ in ambito terapeutico è fortemente discutibile. In altri termini la critica all’esperienza riguarda la possibilità che, a partire dai singoli pazienti trattati personalmente, il medico possa procedere a generalizzare un comportamento terapeutico sui casi futuri che si troverà a gestire. Una rassegna del 2005 suggerisce che l’esperienza, misurata in anni di attività, comporta una minore ‘performance’ del medico in termini di aderenza alle linee guida e di adozione di procedure più appropriate ma anche in termini di esiti clinici riscontrati sui pazienti.
Diversi sono i meccanismi di pregiudizio ed errore che possono corrompere la validità dell’esperienza individuale:
- In genere si tende a ricordare, e quindi a sopravvalutare, i risultati positivi dei trattamenti prescritti mentre si è portati naturalmente a rimuovere, e quindi a sottostimare, quelli negativi.
- La valutazione soggettiva risente inevitabilmente del grado di adesione dei pazienti al trattamento stabilito. I pazienti che accetteranno le prescrizioni finiranno per costituire la parte preponderante dell’esperienza individuale del medico. Essi presenteranno una prognosi migliore, anche in termini di sopravvivenza, rispetto ai pazienti che avranno rifiutato il trattamento. Questo può portare il clinico a sopravvalutare l’efficacia dell’intervento prescritto.
- Nella pratica clinica, il medico ed il paziente non operano in in cieco. Di conseguenza sia l’effetto placebo che il desiderio di entrambi di pervenire al successo terapeutico conducono ad una sovrastima dell’efficacia e/o ad una sottostima delle complicanze dell’intervento praticato.
- Il medico difficilmente si trova nella condizione di poter elaborare autonomamente la propria esperienza in modo da comprendere quella che viene definita la ‘tendenza alla normalità’ di molti fenomeni naturali. Il problema fondamentale è, in questo caso, che la tendenza alla normalità si estrinseca pienamente solo dopo un numero sufficiente di osservazioni, la cui grandezza non può essere prevista dal singolo professionista.
- Un altro aspetto limitante dell’esperienza individuale è il fatto che le conseguenze di un intervento non sono sempre facilmente intellegibili. Così non è affatto semplice stabilire, solo sulla base delle proprie osservazioni, se esiste una relazione tra l’uso di un certo antiipertensivo e la mortalità nell’ictus ischemico, una malattia che di per sé condiziona complicanze fatali in una percentuale elevata di casi. Per le stesse ragioni è difficile stabilire, solo sulla base della propria capacità di analisi, quanti pazienti portatori di ictus ischemico in fase acuta siano clinicamente peggiorati perché messi bruscamente in posizione seduta. Invece, l’uso di questo o quel farmaco antiipertensivo ed il tipo di mobilizzazione del paziente in fase acuta sono considerati problemi di assoluta rilevanza clinica nella gestione dei pazienti con ictus cerebrale.
Dunque, l’esperienza, per essere proficua deve essere integrata con l’acquisizione costante di quelle conoscenze scientifiche che consentono di superare i limiti della realtà individuale. È chiaro che non bisogna nemmeno esagerare perché talora l’esperienza ed il buon senso sono esaustivi. Così è noto che l’uso del paracadute riduce grandemente il rischio di trauma dovuto alla caduta da grandi altezze sebbene la sua efficacia non sia stata documentata in nessun trial clinico randomizzato controllato.
E semmai qualcuno volesse intraprendere questo studio difficilmente troverebbe persone disposte a sperimentare la caduta senza paracadute. Tutti invece sceglierebbero di fare il controllo, quello che indossa il paracadute.
Orientare equamente le risorse
Un altro punto che rende irrinunciabile una medicina basata sull’evidenza clinica è costituito dalla assoluta necessità di orientare selettivamente ed equamente le risorse finanziarie. E qui il problema economico si intreccia con quello etico.
In tutto l’Occidente, la spesa sanitaria totale cresce ad un ritmo sempre maggiore erodendo quote progressivamente più ampie di prodotto interno lordo.
Da sottolineare che cresce indefinitamente anche la spesa sanitaria pubblica persino in quei Paesi, come gli Stati Uniti, dove l’assistenza medica è prevalentemente privata. E questo accadeva già prima della riforma sanitaria voluta da Obama. Una delle principali fonti di spesa è rappresentata da una prescrizione medica (di terapie e di indagini diagnostiche) particolarmente dispendiosa, affatto informata ai criteri dell’evidenza clinica, sensibile agli stimoli più diversi e che finisce per comprendere una parte rilevante di trattamenti che non hanno sicura dimostrazione scientifica. Nel 2012 si è calcolato che negli USA il 30% della spesa sanitaria è stata utilizzata per interventi che non portavamono alcun beneficio.
Essendo le risorse economiche per definizione limitate, si sta correndo il rischio che in breve tempo non si potrà più far fronte a larga parte delle esigenze di salute delle popolazioni. È questo un nodo centrale della Medicina di oggi che nei Paesi di cultura anglosassone, per ragioni economiche ma anche etiche, vanno risolvendo nel senso di erogare solo le terapie la cui efficacia sia scientificamente dimostrata. Questa strategia consente di erogare un maggior numero di terapie efficaci ad un maggior numero di pazienti. Anzi, secondo un’autorevole scuola di pensiero, sarebbe addirittura possibile somministrare a tutti, e gratuitamente, tutti i trattamenti sicuramente efficaci, al prezzo di negare terapie la cui efficacia non è dimostrata. Naturalmente occorre compiere la scelta del livello di evidenza al di sotto del quale l’efficacia di un trattamento non è considerata dimostrata. La scelta è di carattere politico e comporta forti implicazioni etiche.
La scelta del livello di evidenza minimo non esaurisce il problema etico che presenta altri e più complessi aspetti, primo tra tutti la necessità di orientare le limitate risorse economiche sugli interventi che producono i risultati maggiori. Sotto il profilo della politica sanitaria infatti è necessario valutare non solo l’efficacia di un trattamento ma anche l’ampiezza del beneficio prodotto.
L’entità del risultato si misura in vari modi. Uno è lo NNT (Number Needed to Treat) ovvero il numero di pazienti che occorre trattare per evitare un evento sfavorevole (in genere morte e disabilità). Lecito quindi chiedersi se la limitatezza delle risorse imponga di finanziare gli interventi con un’ampiezza di beneficio maggiore.
I diversi aspetti della questione etica riconoscono diversi ambiti di competenza, alcuni dei quali strettamente politici. È nell’elaborazione di una strategia sanitaria centralizzata che vanno individuati gli interventi sui quali concentrare le risorse disponibili sulla base dell’evidenza e dell’ampiezza del risultato da raggiungere. È in questa sede che va deciso se un intervento, sicuramente efficace sulla base del massimo livello di evidenza ma che produce un piccolo beneficio, debba essere accantonato a favore magari di un altro intervento, ugualmente evidente e costoso, ma che riesce a cogliere un risultato più ampio.
Il miglior medico del mondo è il veterinario.
Egli non può chiedere ai suoi pazienti il consenso,
né cosa hanno – deve soltanto capirli
Will Rogers