La Medicina basata sull’evidenza (II)
di Carlo De Luca
(Seconda Parte)
Le cause profonde di una crisi
Se la ‘semeiotica’ della crisi della Medicina è ormai definita, la sua ‘eziologia’ deve ancora essere compiutamente individuata. Sotto questo profilo si può sostenere che la Medicina moderna contiene, irrisolte, almeno due questioni generali di rilevanza decisiva.
La prima è inerente la natura del diritto alla salute, sulla cui interpretazione si ripropone in qualche modo l’eterno conflitto giusnaturalismo-positivismo, la cui soluzione è evidentemente decisiva nella scelta di un sistema di razionalizzazione-razionamento dell’assistenza sanitaria. Il diritto alla salute può essere inteso come diritto naturale che, in quanto tale, è assoluto ed immutabile oppure come diritto positivo, il cui contenuto si rinnova in rapporto alle contingenze storiche, culturali ed economiche. Gli echi di questo contrasto, sia pure analizzato su un piano meramente pragmatico e non certo filosofico, sono presenti da lungo tempo nella letteratura medica anglosassone.
In secondo luogo, la Medicina risente della questione epistemologica ovvero del contrasto di fondo tra due teorie della conoscenza che partono da presupposti diversi (relativi alla certezza della verità scientifica), utilizzano una metodologia diversa (conferma o falsificazione delle ipotesi) e giungono naturalmente a conclusioni diverse sulla natura della conoscenza (somma di informazioni o correzione degli errori). La questione non è un fatto solo teorico perché le due diverse impostazioni possono avere implicazioni concrete di grande rilevanza in ognuna delle tappe che dall’osservazione del caso clinico portano alla diagnosi e all’offerta terapeutica.
L’impostazione metodologica proposta dalla MBE, in particolare la stratificazione delle evidenze e l’interpretazione probabilistica dei risultati scientifici, in qualche modo supera e ricompone i conflitti culturali cui si è accennato, sia quello tra giusnaturalismo e positivismo che quello insito nella questione epistemologica, offrendo alla Medicina gli strumenti operativi per uscire dalla paralisi culturale e per continuare a svolgere la sua funzione pratica che è quella di produrre salute. In particolare, alla luce di quanto esposto in precedenza, diviene meno drammatico, su un piano strettamente operativo, l’interrogativo sulla certezza o meno della verità scientifica quando gli strumenti teorici di cui si dispone consentono di ragionare solo in termini di probabilità.
Le ragioni di una medicina basata sull’evidenza
Quanto riassunto in precedenza introduce l’argomento più ampio che riguarda l’insieme delle ragioni che rende non più rinviabile un rinnovamento profondo della pratica medica sulla base di un’impostazione metodologica rigorosa. Questa necessità deriva da una molteplicità di ragioni di ordine pratico, economico ed etico, e che alla fin fine possono essere riassunte nell’esigenza fondante della Medicina di ottenere informazioni corrette da offrire al paziente e da attuare nella pratica clinica.
Identificare e discriminare l’informazione corrente ai fini della pratica clinica
Quello delle fonti della conoscenza è un problema storico, e per molti versi ancora irrisolto, della Medicina. Sono noti casi anche clamorosi di informazioni sicuramente erronee o quantomeno non fondate su alcuna solida ragione scientifica che sono rimaste a lungo nella pratica clinica o che si sono diffuse al punto di rischiare di entrare pratica clinica. Secondo R. Smith, già direttore del British Medical Journal, si poteva calcolare che nei primi anni ‘90 solo il 15% delle terapie praticate erano fondate su solide prove scientifiche. Nel corso del tempo la situazione è migliorata ma non tanto quanto ci si potrebbe aspettare. Nel 2012 su 3.000 trattamenti oggetto di trial clinici randomizzati controllati, solo lo 11% potevano essere considerati efficaci, il 24% probabilmente efficaci, il 7% in parte efficaci e in parte dannosi, il 5% come probabilmente inefficaci, il 3% come probabilmente inefficaci o dannosi e ben il 50% di efficacia sconosciuta
Sono altresì noti casi nei quali un’informazione corretta ha impiegato tempi clamorosamente lunghi per affermarsi. È nota la vicenda della terapia dello scorbuto, una malattia molto grave di cui soffrivano i marinai nel corso del lungo tempo che trascorrevano in mare. Dal 1601, quando James Lancaster osservò per la prima volta che il succo di limone poteva prevenire la malattia, si dovette aspettare circa un secolo e mezzo perché James Lind, nel 1747, ripetesse l’esperimento. Ancora altro tempo fu necessario affinché l’osservazione sperimentale divenisse pratica clinica: la marina militare e quella mercantile della Gran Bretagna iniziarono a portare limoni sulle navi per prevenire e curare lo scorbuto, rispettivamente, nel 1795e nel 1865. Occorsero dunque ben due secoli e mezzo prima che un’osservazione decisiva trovasse un’applicazione concreta che consisteva peraltro in una misura molto semplice quale era quella di imbarcare agrumi.
Si potrebbe pensare che oggi ci si trova in un contesto opposto nel quale l’ampia informatizzazione condizioni una crescente circolazione delle conoscenze scientifiche e faciliti il passaggio delle informazioni dalla ricerca alla pratica clinica. Eppure, non è esattamente così. Innanzitutto, l’informazione può trasmettersi in maniera distorta ed in proposito basti ricordare tutto il trambusto inconsulto sulla utilità delle vaccinazioni. In secondo luogo, proprio la pletora di informazione scientifica e la sua disseminazione a pioggia possono determinare una situazione opposta a quella vista nel caso dello scorbuto ma dal risultato assolutamente convergente: l’informazione corretta può essere sommersa dal grande mare di notizie inutili, fuorvianti ed erronee. Ancora oggi, infatti, i tempi con i quali un’evidenza scientifica viene accolta da tutti sul piano culturale possono essere molto lunghi. Così, in un passato recente, trascorsero circa tredici anni dalla dimostrazione dell’efficacia della trombolisi nell’infarto del miocardio prima che questa terapia divenisse raccomandata.
La MBE può diventare un utile strumento per guidare i medici nel mare magnum dell’informazione scientifica. Nella sua ispirazione originaria, la Medicina basata sull’evidenza aveva come referente privilegiato proprio la pratica clinica. In particolare, si riproponeva di sostenere i medici nella decisione clinica offrendo loro un metodo scientificamente fondato. Allo scopo furono pubblicati su JAMA, a partire dai primi anni ‘90, una serie di articoli nei quali si descrivevano gli strumenti teorici per valutare criticamente la letteratura scientifica sotto i diversi profili utili alle esigenze cliniche.
Implementare i risultati della ricerca scientifica in una politica clinica
Si è visto che i tempi di latenza con i quali un’evidenza scientifica viene accolta da tutti sul piano culturale possono essere molto lunghi. Ancora più lunghi sono in genere i tempi di implementazione dell’evidenza scientifica in una politica clinica.
Da molti anni ormai è dimostrato che nelle emorragie digestive da ulcera peptica, l’unico intervento che con certezza riduce mortalità, interventi chirurgici e recidive è rappresentato dalla sclerosi endoscopica d’urgenza. Tutti i farmaci che vengono somministrati endovena, compresi i potenti e costosi inibitori della pompa protonica, non hanno nessun effetto e le emorragie digestive che si arrestano nel corso di un trattamento farmacologico (fortunatamente nella maggior parte dei casi) lo fanno per autolimitazione.
L’efficacia della sclerosi endoscopica, già evidenziata nei singoli trials, fu poi ribadita in due meta-analisi ed accolta definitivamente nel consesso scientifico nel 1993. Da allora tale evidenza non è stata più messa in discussione tanto che successivamente, per ragioni etiche, non è stato intrapreso nessun altro studio randomizzato controllato. Eppure a tutt’oggi, nella pratica, non tutti i pazienti con emorragia digestiva acuta da ulcera peptica sono sottoposti ad endoscopia d’urgenza.
Codificare la pratica clinica
La pratica clinica consiste nel dare risposte semplici a problemi complessi. Questo comporta la necessità di codificare i comportamenti secondo criteri precisi e non ambigui.
Raccomandazioni cliniche appaiono come semplici affermazioni nel contesto di un libro o di un articolo oppure sono espresse come indicazioni, controindicazioni, farmaci di scelta, elementi essenziali per la diagnosi, ecc. Talora esse sono contenute nei documenti prodotti dalle varie organizzazioni culturali o politiche che si occupano di sanità. La multiformità con la quale tali norme vengono espresse rende più difficile la loro attuazione. Da qui la necessità di stabilire criteri generali basati su regole omogenee ed universalmente accettate per implementare nella pratica clinica i risultati della ricerca scientifica.