La preistoria
Storia della medicina
di Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari
Ogni ripiegamento sulla Storia, affermava Husserl, nasce da un interesse per l’avvenire. Specialmente in periodi di crisi si è visto che analizzare acquisizioni ed errori del passato può rappresentare la possibilità di migliorare le prospettive. Per esempio, nel campo specifico della Storia della Medicina, da alcuni decenni uno dei dibattiti nodali è quanto la tecnologia, in generale gli sviluppi esponenziali della scienza, e la polverizzazione del sapere unitario in tante specializzazioni, portino con sé, accanto all’innegabile significato di conquista, la perdita di alcuni punti cardinali della medicina di tutti i tempi, per esempio il rapporto medico-paziente. Non è sufficiente risalire alla imponente sistematizzazione di Ippocrate che inaugura, appunto, la clinica moderna nel IV secolo a. C. Già nella Preistoria, e oggi tra le popolazioni a cosiddetta civiltà primitiva, il valore di questo rapporto è immenso. È il potere che il gruppo e il singolo attribuiscono al guaritore, che è in parte il motivo della riuscita di vari tipi di cure. Ma su questa originaria relazione onnipotente, nei secoli giustamente sempre più sfumata e complessa, torneremo nel corso delle successive puntate. Cominciamo ora, con pattern cronologico, a ricordare insieme come nascono già nella Preistoria i primi pensieri e rimedi circa la necessità prioritaria dell’uomo di sconfiggere la malattia e la morte. Per definizione, tutto ciò che ipotizziamo per il periodo preistorico, prima della scrittura, deriva dai reperti archeologici, dalla tradizione orale e dalle fonti letterarie successive. Tra i primi, non trascuriamo le pitture rupestri dove abbiamo materiale per capire come venivano curate le ferite, o come venivano rappresentati uomini il cui linguaggio del corpo – movimento, postura, mimica, sguardo- inclina a correlare a depressione o a mania (Fig. 1 e 2).
Oppure le cosiddette Veneri steatopigie, statuette poste davanti alle abitazioni, raffiguranti donne mostruosamente obese, a quell’epoca considerate modelli estetici ma soprattutto simboli sacri, protettori di fertilità e nutrimento della prole, i due aspetti essenziali del femminile antico. Sicuramente infatti tutto quanto atteneva alla malattia e alla salute, in quel tempopoggiava sul tripode empirismo-magia-religione. Ogni atto empirico era contemporaneamente intriso di un senso trascendente. Un esempio classico sono i crani trapanati che si conservano in vari Musei internazionali compreso quello di Storia della Medicina della Sapienza Università di Roma. Queste trapanazioni venivano fatte sicuramente in vita come si dimostra dalla proliferazione ossea che si vede attorno al forame. E sono state interpretate come probabili tentativi di rimozione di schegge di frecce, oppure operazioni di neurochirurgia ante litteram come se i Primitivi avessero già intuito che la sede delle funzioni psichiche è nel cervello, o la maniera per far uscire dalla testa lo spirito maligno responsabile di qualsiasi malattia, fisica o del comportamento, mandato dagli dei per punizione di una colpa. (Fig. 3).
Ricordiamo che la malattia come punizione divina, non solo è considerata la più antica e la più celebre causa di malattia, ma ancor oggi, e non solo nei timori superstiziosi, serpeggia archetipicamente nell’inconscio di molti, se non addirittura nelle convinzioni coscienti. Ad ogni modo, come vedremo, questi intrecci si osservano in tanti altri esempi e si trasportano nella Medicina per molti secoli. Basti qui un esempio per tutti, e cioè quanto descritto nel Dialogo di Platone “Il Carmide”: per curare il mal di testa di Socrate, gli viene offerta una pianta medicinale ma questo atto empirico è accompagnato da una èpodè, il canto che incanta, una formula magica suggestiva, perché il corpo non può essere curato separatamente dall’anima. Ancora, pare che già nella Preistoria, circa l’uso delle piante officiali, i nostri antenati avessero già intuito le loro proprietà curative, materiali e/o soprannaturali, e le assumessero in maniera appropriata a seconda dello scopo. Alcune di queste piante si perdono nella leggenda, come il silfio o l’elleboro, ma molte altre hanno trovato nei secoli il loro razionale (si pensi al giusquiamo, alla belladonna), da quando la chimica, scienza recente che aveva trovato il suo antesignano rinascimentale nell’alchimia di Paracelso, trova in esse i principi attivi effettivamente responsabili della loro efficacia, e trasportati nei prodotti commerciali dei nostri giorni.
Quando guardo alla storia, sono pessimista.
Ma quando guardo alla preistoria, sono ottimista.
J.C. Smuts