L’essenziale dialogo tra medico e paziente cardiopatico in tempo di Covid-19
di Marco Favale
Il Covid-19 fa ancora paura, le sue mutazioni cambiano di nuovo le nostre ritrovate abitudini e successivamente a fasi di miglioramento si riaffacciano timori di un contagio incontrollato minando fragili certezze. Ma più il Covid-19 fa il suo corso pandemico e maggiormente presenta il suo conto. Una lista ampliata da condizioni sanitarie allo stremo che aggravano le patologie più “importanti” ed i loro effetti su una popolazione disorientata e su una classe medica frastornata da continui terremoti statistici e normativi che rimescolano sempre le carte.
Le cardiopatie tornano ad essere la prima causa di morte in Italia: 34,8% di tutti i decessi (31,7% negli uomini e 37,7% nelle donne). Risultati clinici determinati anche grazie al Covid-19 per le difficoltà strutturali che ha inserito nei servizi sanitari e nei settori di prevenzione e accesso alle cure, così come per l’aderenza ai trattamenti terapeutici.
Nuove ricerche hanno fatto emergere le criticità rilevate su un campione di sanitari composti da cardiologi, internisti, diabetologi e medici di medicina generale, prototipo paradigmatico che con differenti valori ha trasversalmente rivelato un comune e diffuso senso di isolamento e paura da parte di pazienti e di chi se ne prende cura, specialmente durante i lockdown. Una separazione tra medico e paziente che ha evidenziato quanto l’impegno all’ascolto sui bisogni e le necessità in ambito cardiovascolare sia necessario e fondamentale anche come azione di contrasto ad una reale condizione di difficoltà all’impatto del Covid-19 inserita nel dialogo ma soprattutto in una realtà sanitaria stressata in deficit d’intervento per ottenere in tempo nuove diagnosi insieme alla gestione delle terapie.
Uniformemente il modello sanitario preso da confronto ha indicato vitale il livello di coscienza da parte del comune cittadino, e soprattutto del paziente, a prendere a cuore la propria salute cardiovascolare contribuendone in modo attivo. E dovrebbe essere spontanea, parola chiave, la coscienza di una volontà a fare scelte di vita salutari: tenere sotto controllo i propri valori, evitare comportamenti a rischio, e dal momento che non è congenita una consapevolezza sul proprio stato di salute e sulle misure da adottare per preservarla, torna necessario mantenere costante la relazione con il proprio medico. Ancora più urgente in un quadro clinico degli ultimi due anni che espone una drammatica realtà nei ritardi diagnostici. Ritardi collegati alla difficoltà di accesso per le visite specialistiche, siano come primo contatto sia come visite di controllo, conseguenza una bassa compliance terapeutica. Non sorprendono, pertanto, i rilevamenti clinici che indicano dalle nuove diagnosi un aumento per pazienti ad alto rischio cardiovascolare per ipercolesterolemia o diabete come di eventi cardiopatici in crescita per coloro con già un pregresso episodio; l’estensione dei casi rispettivamente è del +3% e del +10%. Uno stato delle cose in pericoloso disequilibrio che rischia di far aumentare dei numeri già di per sé allarmanti.
Argine imprescindibile è la relazione medico/paziente che si trasforma nelle modalità di dialogo, e se qualcosa in tempo di Covid-19 ha operato positivamente è stato il cercare tutte le opzioni possibili per ristabilire una “normalità” possibile, così l’indagine indica come i sanitari hanno individuato nuovi sistemi di presa in carico in situazioni di emergenza come l’attuale, perché non vada perduto il fondamentale patrimonio rappresentato dal rapporto continuativo di dialogo e di fiducia tra paziente e medico. Da questa osservazione la necessità di operare verso nuove modalità per questo legame che è e sarà, speriamo in tempi non lunghi, soprattutto da remoto.
La maggior parte dei medici del campione analizzato ha dichiarato di mantenere il contatto con i pazienti per telefono, via WhatsApp ed e-mail. Contatti avviati per condividere esami clinici, monitorare le terapie e le condizioni di salute, sia in generale che nello specifico. Iniziative spontanee avviate più facilmente con pazienti più giovani e con patologie croniche ma non assenti del tutto al metodo digitale anche pazienti più anziani.
L’indicazione che chiaramente fuoriesce è l’auspicio in futuro di migliorare procedure di contatto da remoto più strutturate e di più facile e intuitiva operatività; prefigurando un nuovo modello integrato di presa in carico del paziente che preveda la possibilità di mantenere il contatto a distanza regolare dalle visite di controllo alla verifica degli esami o al rinnovo dei piani terapeutici per una maggiore continuità di cura e alleanza terapeutica.
Programma di lavoro non utopistico perché le strutture sanitarie stanno evolvendo su tali orizzonti collegati all’evidenza della emergenza pandemica. Sono tanti gli esempi di ambulatori e ospedali nelle varie regioni d’Italia dove si stanno attrezzando metodi di lavoro per sviluppare ambulatori digitali e piattaforme di telemedicina più complete e più facilmente interattive per garantire visite e consulti multi-specialistici in una presa in carico del paziente integrata e personalizzata.
Altrettanto importate, dall’esperienza Covid-19, è la collaborazione che si è venuta a creare tra il SSN e l’industria farmaceutica. Un concorso attivo e produttivo in una strategia efficiente a fianco di ospedali, medici e pazienti, favorendo la tanto essenziale continuità delle cure, migliorando i servizi dedicati al paziente e quelli di assistenza domiciliare anche per la distribuzione dei farmaci.
E, per non dimenticare un elemento inderogabile dopo stagioni di tagli continui alla sanità è l’altrettanto necessario incremento delle risorse umane sanitarie anche in considerazione dell’aumento dell’età della popolazione italiana.
Difficile preparare ottime pietanze senza nessuno in cucina, con tutta la buona volontà possibile.