Lo scompenso dell’imperatore
di Andrea Marcheselli
«Animula vagula blandula, hospes comesque corporis, quae nunc abibis in loca pallidula rigida nudula, nec, ut soles, dabis iocos […]»
«Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti […]»
Così Publio Elio Traiano Adriano si prepara a congedarsi dalla sua anima, rivolgendosi ad essa come ad una cara compagna, con quel presagio angosciante di morte imminente che accompagnò i suoi ultimi anni di vita. L’imperatore più versatile della storia romana era affetto da ‘idropisia’, ed è così che la scrittrice francese Marguerite Yourcenar, nella sua opera Memorie di Adriano, ne descrive la sofferenza attraverso la sua voce narrante:
Ma, ormai, non credo più, come finge ancora Ermogene, nelle virtù prodigiose delle piante, nella dosatura precisa di quei sali minerali che è andato a procurarsi in Oriente. […] Perdono a questo mio fedele il suo tentativo di nascondermi la mia morte. Ermogene è dotto; è persino saggio; la sua probità è di gran lunga superiore a quella d’un qualunque medico di corte. Avrò in sorte d’essere il più curato dei malati. Ma nessuno può oltrepassare i limiti prescritti dalla natura; le gambe gonfie non mi sostengono più nelle lunghe cerimonie di Roma; mi sento soffocare; e ho sessant’anni.
Il fidato Ermogene poté fare ben poco per curare il proprio paziente, considerato che, sino agli inizi del XIX secolo, le malattie cardiache sono state pressoché incurabili.
È solo nel 1682, dopo secoli di teorie, che il medico inglese William Harvey, nella Exercitatio Anatomica de Motu Cordis et Sanguinis in Animalibus, comprese definitivamente la centralità del cuore rispetto al sangue ‘come un circuito chiuso’. Nel 1785 il botanico, connazionale di Harwey, William Withering, dimostrò le proprietà cardiotoniche delle foglie della digitale purpurea, sino ad allora considerate veleno. Bisognerà attendere il 1826, quando il giovane Dr. René Laennec, discepolo prediletto del medico personale di Napoleone, riconoscendo segni e sintomi tipici dello scompenso cardiaco congestizio, anche grazie allo stetoscopio – che egli stesso aveva inventato – si spinse oltre alla mera osservazione semeiotica, utilizzando la digitale purpurea come ‘terapia eroica’ ed incoraggiando il salasso a mezzo di sanguisughe e di tagli venosi, al fine di ridurre edema e dispnea.
Le conoscenze fisiopatologiche sullo Scompenso Cardiaco (SC), subirono poi drastiche modificazioni a partire dagli anni ‘50, passando dalla ‘teoria cardio-renale’, in cui il movens fisiopatogenetico era il deficit di contrattilità, con conseguente ritenzione idrosalina e sviluppo di edema, alla ‘teoria neuro-ormonale’ dei primi anni ‘80, quando lo SC fu considerato non solo un semplice squilibrio emodinamico ma anche un disordine dei sistemi neuro-ormonali, che contribuiscono in larga parte alla progressione della insufficienza cardiaca.
Infatti il miglioramento della prognosi e la riduzione della mortalità è attribuibile all’azione di farmaci che agiscono demodulando i sistemi con significato prognostico negativo, come gli ACE Inibitori, gli Antagonisti del recettore AT1 dell’angiotensina II (Sartani) e gli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi, che intervengono sul sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (RAAS) ed i β bloccanti che agiscono sul sistema β adrenergico (SNS). Sebbene con l’ottimizzazione terapeutica sia possibile prevenire l’evoluzione della disfunzione ventricolare asintomatica verso lo scompenso cardiaco conclamato o rallentarne la progressione, la morbilità per lo SC è oggi in aumento. Verosimilmente, il miglior trattamento dell’ipertensione arteriosa e delle malattie coronariche hanno sì determinato una riduzione della mortalità acuta cardiovascolare, ma hanno contestualmente aumentato l’età media della popolazione e dei pazienti con quadri di scompenso cardiaco refrattario, con severa disfunzione sistolica (F.E. < 35 %) e classe funzionale NYHA III-IV.
Pertanto, nonostante gli importanti successi terapeutici ottenuti contrastando gli effetti deleteri cross regolati, derivanti dalla attivazione del RAAS e del SNS, le nuove strategie farmacologiche agiscono invece ‘potenziando’ quei sistemi di regolazione che esercitano effetti positivi, come quelli delle chinine e dei Peptidi Natriuretici Cardiaci (PNC) migliorando la modulazione neuro-ormonale e quindi la prognosi dello SC.
La scoperta della ‘funzione endocrina cardiaca’ risale a circa 30 anni fa, quando fu osservata la capacità del miocardio di produrre una famiglia di peptidi, i PNC, con potente azione natriuretica, vasodilatatrice e di inibizione dei neuro ormoni con attività sodioritentiva e/o vasocostrittrice.
- L’ANP (Atrial Natriuretic Peptide) è il peptide natriuretico atriale prodotto ed immagazzinato nei cardiomiociti atriali sotto forma di precursore (pro-ANP) rilasciato in caso di disfunzione ed ipertrofia. Secreto successivamente, viene poi suddiviso in una parte attiva C terminale ed in una parte inattiva N terminale.
- Il BNP (Brain Natriuretic Peptide) è il peptide natriuretico tipo-B prodotto dai cardiomiociti prevalentemente ventricolari. Non è immagazzinato, è più stabile, ha una emivita plasmatica di circa 20-30 minuti ed essendo rilasciato in risposta a stretch ventricolare o ad effetti vasocostrittivi del sistema RAA, può ben correlare con lo stato funzionale del ventricolo. Per questo i suoi livelli circolanti sono utilizzati come indici prognostici di gravità e di mortalità precoce nei pazienti affetti da scompenso cardiaco.
- Il CNP (“C type” Natriuretic Peptide) è il peptide natriuretico tipo-C originato a livello cerebrale, endoteliale e cardiaco. Non agisce come ormone cardiaco e non sembra avere un ruolo importante nei meccanicismi di disfunzione cardiaca.
I Peptidi natriuretici cardiaci esercitano le loro azioni biologiche attraverso l’interazione con specifici recettori di membrana:
- a livello cerebrale inibendo il SNS e la sete;
- a livello cardiaco inibendo l’ipertrofia e la fibrosi ventricolare;
- a livello vascolare riducendo le resistenze periferiche;
- a livello renale aumentando la natriuresi, la diuresi e riducendo la sintesi della renina;
- a livello surrenalico inibendo il RAAS;
- a livello polmonare inducendo broncodilatazione ;
- a livello lipidico incrementando la lipolisi.
La loro degradazione avviene con due meccanismi: il primo, recettore-mediato attraverso l’internalizzazione mediata dal legame con l’NPR-C; il secondo, extracellulare, è mediato dall’enzima neprilisina.
Poiché gli effetti dei PN risultano positivi sui pazienti con scompenso cardiaco, l’intervento farmacologico è pertanto mirato al blocco del recettore ed alla inibizione della neprilisina.
Il blocco del recettore dell’angiotensina II tipo-1(AT1) attraverso il valsartan, e la inibizione della neprilisina tramite il metabolita attivo del profarmaco sacubitril sono sinergicamente in grado di antagonizzare gli effetti nocivi dell’angiotensina II e potenziare gli effetti favorevoli dei peptidi natriuretici.
I trials CONSENSUS e SOLVD, oltre 25 anni orsono, dimostrarono come l’Enalapril riducesse significativamente la morbilità e mortalità per scompenso cardiaco, mentre oggi i recenti studi PARADIGM–HF e TITRATION accreditano l’utilità di questa nuova associazione del sacubitril e del valsartan sia nell’efficacia che nella sicurezza e tollerabilità.
A 62 anni, nell’anno 138 A.D., nei pressi di Napoli, l’Imperatore Adriano morì. Considerando che l’aspettativa di vita dell’epoca si attestava tra i 40 ed i 45 anni, possiamo immaginare che il colto, raffinato e salutista Imperatore, che sopravvisse anche al dolore per la morte del suo giovane amante Antinoo, riuscì a migliorare la prognosi della propria malattia attraverso applicazioni di strategie a noi ancora sconosciute.
Nelle ore di insonnia, percorrevo i corridoi della Villa, errando di sala in sala […] mi fermavo davanti ai simulacri di Antinoo […] Facevo schermo con la mano alla fiamma della mia lampada; sfioravo con un dito quel petto di pietra.