Mahler – Sinfonia n. 5
La discoteca ideale
di Cosimo Cannalire
Prima del secondo ciclo sinfonico mahleriano (quindi dopo quella che lui definiva la tetralogia delle prime quattro sinfonie), è strutturata in cinque movimenti senza voci (anche se i lied spesso echeggiano in molte parti della sinfonia) ed inizia iconoclasticamente con una marcia funebre.
Pur essendo, a detta dell’autore, poco influenzata da eventi extra musicali, in realtà appare all’ascolto in tutta la sua passionale intensità.
Forse l’essere sopravvissuto ad un grave attacco emorragico aprì nuovi orizzonti all’autore verso la ricerca di uno stile diverso, più strutturato e contrappuntistico.
L’opera si divide in sostanza in due parti divise da uno scherzo. Il quarto movimento deve il suo successo all’uso che ne fece Visconti (di certo il più mahleriano dei registi…): di suo è un tema d’amore, ma è facile farne una metafora più alta di dolore e passione.
La storia esecutiva di questa sinfonia ne evidenzia la possibile flessibilità interpretativa insieme alla necessità di avere a disposizione solisti di alto livello specialmente nel corpo degli ottoni.
Ci sono due tipici difetti che si incontrano in molte interpretazioni: la ricerca lenticolare del dettaglio estremo che ci allontana dall’intento più alto dell’opera e la diluizione sonora dell’adagietto fino a livelli glucidici non tollerabili.
Rattle con i Berliner raggiunge un piacevole equilibrio della struttura sonora privilegiando l’architettura e l’organizzazione del messaggio musicale.
Bernstein con i Wiener, come sua abitudine in Mahler, usa eccessi demoniaci ove appropriato e ci porta per mano verso il trionfo dell’ultimo movimento. Il suono setoso dei Wiener si adatta incredibilmente bene all’adagietto e Bernstein conferma di dare decisamente il meglio nel Mahler ‘positivo’, tipico dello spirito che caratterizza questa sinfonia.
Abbado è un direttore Mahler addicted, produce risultati esaltanti già nel suo periodo berlinese, ma è con Lucerna che riesce a spargere eleganza e grazia anche se, visto il suo taglio analitico, con meno intensità ed angst di altri direttori; il suo adagietto è, visto il contesto, sublime.
Forse l’equilibrio perfetto si ritrova però in Barbirolli a capo della New Philarmonia Orchestra. Si tratta di un disco storico (1969), con spirito e cuore a guidare tutta l’esecuzione.
Il direttore sceglie spesso tempi veloci che mettono l’orchestra a dura prova. Quel che colpisce in una sinfonia di fatto disuniforme è viceversa l’unità architettonica del tutto, l’uso del colore sonoro a piene mani, ma soprattutto una radiosità ed umanità uniche, che risolvono magicamente tutti i parametri dell’equazione Mahler.