Negoziazione, Empowerment, Empatia (II)
di Emilio Merletti
(Seconda parte)
I colleghi della mia età ricorderanno senz’altro la ‘Guardia INAM’: archetipo della ‘Continuità Assistenziale’, nata al tramonto della Medicina Mutualistica, nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso.
Si copriva il week end in due, teoricamente affiancati come i Carabinieri, ma nella pratica ci si divideva il turno, così che un collega era di guardia il sabato e l’altro la domenica. Ogni tre, quattro ore si chiamava la farmacia di turno, per sentire se qualche malato avesse chiesto del medico a domicilio, e si eseguiva la visita, secondo la routine consueta dei giorni feriali. Nessuna urgenza, nessun paragone con i ritmi convulsi di oggi.
Un giorno però fu la farmacia a chiamare. «Dottore, presto, venga! Qui c’è una signora che… è molto agitata… non sappiamo cosa fare per calmarla… faccia presto per favore!» Fu come se avessi bevuto un caffè doppio: mani sudate e un fastidioso nervoso alle gambe, del resto ero al mio primo anno di professione dopo la laurea, e questa era una delle primissime volte che affrontavo un’emergenza da solo. Mi precipitai sul posto, e sulla soglia della farmacia trovai il giovane farmacista di turno più in ansia di me.
«Finalmente dottore! Venga, la signora è voluta entrare nel laboratorio sul retro: vuole avere da noi a tutti i costi venti confezioni di XXXX: dice che ne ha assoluto bisogno per mettersi in forze, dato che domattina deve sposarsi…»
Il prodotto XXXX era un multivitaminico-energetico in flaconcini orali, con i principi attivi in polvere racchiusi nel tappo. Sopra il tappo c’era una specie di pulsante che doveva essere schiacciato, così facendo la polvere cadeva nello sciroppo contenuto nel flacone e il farmaco veniva costituito. Ogni confezione conteneva dieci flaconcini, quindi la signora avrebbe consumato, direttamente sul posto secondo le sue intenzioni, duecento flaconcini! «Beh – faccio io – se domani deve sposarsi proverò a consigliarle qualcosa di più idoneo. Probabilmente si tratta di un disturbo d’ansia reattivo all’evento importante che deve affrontare domani». «Ma no, dottore… – mi fa il farmacista – guardi… questo signore è suo marito!» C’era lì accanto un uomo sulla trentina, con un’espressione patibolare, i capelli in disordine, gli occhi rossi di pianto. «Ha cominciato all’improvviso un’ora fa, senza motivo… o meglio, dopo una banale discussione. Non mi riconosce. Siamo sposati da quasi sei anni… l’ho inseguita fin qui cercando di convincerla, ma non sente ragione!»
Nel retrobottega le tre lavoranti, in piedi dietro il tavolo delle preparazioni galeniche, ascoltavano esterrefatte ciò che la ‘sposa’ stava loro dicendo. Al mio ingresso tutti si voltarono verso di me, compresa la donna, che mi fissò con un’aria stralunata e interrogativa. «Sono un medico, buon giorno, cosa succede, signora?» «Signorina, prego! Io debbo sposarmi domattina a mezzogiorno, e ho ASSOLUTO bisogno di mettermi in forza. Mi servono venti scatole di XXXX subito! SUBITO, CAPITO?» Ripassando mentalmente le lezioni del mio prof. di psichiatria all’Università dedussi che doveva trattarsi di una bouffe delirante acuta, quella che oggi, secondo il DSM 5, dovrebbe definirsi come ‘disturbo psicotico breve’. Ebbene, i sacri testi consigliavano, nei disturbi deliranti, di ‘entrare’ nel delirio del paziente. E così feci io. «Signorina, congratulazioni! Mi dicono che domani convolerà a nozze. Ma non si preoccupi: è normale che oggi sia un po’ agitata. Le darò delle gocce…» Pensavo al classico aloperidolo, o alla clorpromazina, ma «Quali gocce? Niente gocce! Io non sono agitata affatto! Voglio sentirmi forte piuttosto! Datemi ciò che chiedo!»
Queste parole furono pronunciate, anzi furono urlate con una tale violenza da annichilirmi.
Dovevo guadagnare tempo, per decidere qualcosa …
Mi voltai al farmacista e rapidamente gli sussurrai: «Togliete la polvere dai tappi». Per fortuna mi capì a volo, e così tutto lo staff della farmacia fu impegnato a svuotare i tappi del prodotto dal principio attivo: alle perse la signora avrebbe fatto una indigestione di sciroppo di glucosio e aromi naturali. Al momento opportuno avrei trovato il modo di aggiungere un antipsicotico in uno dei flaconi.
Mentre fervevano questi lavori, e la aspirante consorte aveva già iniziato a tracannare le prime ampolle, ecco giungere il farmacista titolare, avvisato da chissà chi. Era un uomo sulla cinquantina, di corporatura più che massiccia, con un carattere deciso ed un temperamento sanguigno. Una specie di maresciallo dell’Arma. Si piazzò di fronte alla donna, e: «Insomma che succede qui? Signora, mi faccia il santo piacere, la pianti immediatamente perché qui noi dobbiamo lavorare! Se ne vada subito con suo marito, altrimenti io chiamo la polizia e la faccio rinchiudere in manicomio!»
Quel ‘Rinchiudere in manicomio’ ebbe lo stesso magico effetto dell’Apriti Sèsamo! di Alì Babà.
La donna trasalì, come risvegliata da un sogno. «No, no. Quale manicomio! Non sono mica pazza! Dov’è mio marito? Giuliano, scusami… andiamo a casa».
Tutti si congratularono con il ‘deus ex machina’ della vicenda, che si piazzò sulla soglia della sua farmacia. Gambe divaricate, petto in fuori, mani sui fianchi, con un’espressione di palese soddisfazione sul viso volitivo.
Io invece rimasi come un cretino, a guardare i due allontanarsi sottobraccio.
La testa di lei appoggiata teneramente sulla spalla di lui.
Emilio Merletti
P.S.: Dato che in guardia Medica il feed back è praticamente zero, non ho mai avuto conferma della mia ipotesi diagnostica.
E nemmeno ho mai saputo chi abbia pagato tutti quei flaconcini sprecati…