Pure… il formaggio!
di Mara Piccoli
Il formaggio, elemento integrante della dieta mediterranea, è stato considerato nel corso del tempo uno degli alimenti più controversi per quanto riguarda l’alimentazione del cardiopatico. Sin dall’antica Grecia era noto il formaggio caprino stagionato, da grattugiare in un cocktail medicamentoso a base di vino, consigliato da Nestore a Macaone ferito ad una spalla. A Roma il poeta Marziale, negli epigrammi di Xenia (doni per gli ospiti che ci si scambiava durante i Saturnali), cita quattro tipologie di formaggi: Caseus lunensis (da latte bovino, di grande formato), Caseus fumosus (caprino affumicato), Caseus vestinus (caprino abruzzese forte che può sostituire la carne), Caseus Trebulani (da degustare riscaldati in acqua calda o meglio sulla brace). Venivano spesso associati alla frutta secca oppure al mulsum, il vino dolce dell’epoca. Il formaggio è stato anche il primo condimento della pasta, soprattutto per i marinai, dal momento che la pasta secca ed il formaggio stagionato erano durevoli durante le lunghe navigazioni. Talora un pizzico di prezioso pepe completava la ricetta! Dal momento che la frutta era privilegio di ricchi conventi e monasteri e di residenze signorili, mentre il formaggio era cibo di poveri e viandanti, il detto «Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere», significava anche mantenere rigorosamente separate le classi sociali. Solo nel 1800, con la nascita della classe borghese, il formaggio viene servito con la frutta a fine pasto. Attualmente il formaggio ha ormai acquisito una autonomia di pietanza, sostituendo in alcuni casi il piatto di carne, ed è abbinato a frutta e verdura oltre che a tutte le bevande.
Poiché il formaggio è merceologicamente prodotto con i grassi del latte, per molto tempo è stato considerato cibo altamente sconsigliato e proibito per i pazienti cardiopatici. Una revisione del 2011 (Nutrition Research Reviews, 2011) ha concluso come i dati degli studi osservazionali mostrino un effetto protettivo dei latticini sul rischio di sovrappeso e obesità. Un ruolo importante sembra giocarlo la Milk Fat Globule Membrane, la membrana ricca di fosfolipidi (70%) e proteine che avvolge i grassi del latte e che svolge nell’organismo un’azione limitante sull’assorbimento di colesterolo e trigliceridi (Rosqvist, The American Journal of Clinical Nutrition, 2015). Inoltre, i tripeptidi, tipici del formaggio stagionato come il Grana Padano, alcuni lattobacilli, documentati in alcuni formaggi freschi messicani, e muffe, presenti su formaggi erborinati e a crosta fiorita, hanno mostrato avere un effetto positivo sul sistema renina-angiotensina, modulando i valori pressori. Seguendo diversi tipi di dieta, analoghe in grassi e calorie, coloro che consumavano latte parzialmente scremato e formaggio, sviluppavano una composizione batterica intestinale diversa con produzione di elevati valori di butirrato, grasso antinfiammatorio che può accelerare il metabolismo. Ai fini calorici non ha senso sostituire, nelle ricette dei dolci, il burro con l’olio di oliva: un etto di burro contiene 750 calorie contro le 900 della stessa quantità di olio, rinunciando a cremosità ed a sapore tipico. Solo nel 50% dei casi l’intolleranza al lattosio, data dal declino progressivo dell’attività enzimatica della lattasi, è sintomatica per disturbi gastrointestinali. In questo caso si possono usare sia latticini addizionati con probiotici, che facilitano la digestione del lattosio e stimolano la produzione intestinale di lattasi, sia i latticini delattosati, in cui il lattosio è scisso già nelle sue componenti base (glucosio e galattosio), rendendo quindi inutile l’azione delle lattasi. Inoltre, nei formaggi a lunga stagionatura, i livelli di lattosio sono davvero molto bassi.
Ai dati già noti, si è recentemente aggiunto lo studio PURE (Prospective Urban Rural Epidemiology), pubblicato dalla Mc Master University di Hamilton in Ontario, che ha considerato oltre 135.000 individui da 18 paesi a basso, medio e alto reddito (America del Nord, Europa, America del Sud, Medio Oriente, Cina, Sud-Est Asiatico e Africa) ed ha analizzato il consumo di carboidrati, grassi totali e tipologia di grasso. Questo è il primo studio ad analizzare i rapporti tra incidenza di malattie cardiovascolari ed il consumo di prodotti della filiera del latte. Ebbene, in tutte le realtà dei vari paesi che hanno partecipato allo studio, rurali oppure urbane, le persone che consumavano 1-2 porzioni quotidiane di latte e derivati, mostravano una riduzione del rischio di mortalità globale e cardiovascolare, ed in particolare una riduzione del 22% del rischio di ictus. Per porzione di riferimento si intendeva 244 ml di latte, 244 ml di yogurt, 15 gr di formaggio, 5 gr di burro (un cucchiaino da the). I dati emersi sono sovrapponibili alle indicazioni delle linee guida italiane sull’alimentazione. I dati dello studio PURE evidenziano quindi che le diete con la più alta percentuale di carboidrati – in media, il 77% delle calorie giornaliere – sono associate ad un aumento del 28% del rischio di decesso rispetto alle diete in cui i carboidrati costituiscono solo il 46% delle calorie. Al contrario, le diete con assunzione più elevata di grassi – 35% delle calorie giornaliere – sono associate a un rischio di decesso inferiore del 23%. Alla luce di tutti questi risultati i ricercatori hanno suggerito l’aggiornamento delle linee guida alimentari.
70 mg di colesterolo sono contenuti in: |
100 gr di gorgonzola |
100 gr di carne magra di vitello |
100 gr di carne di tacchino o pollo (senza pelle) |
100 gr di bresaola |
100 gr di orata o branzino |
50 gr di gamberi |
La cocaina è una truffa: lascia le persone come sono e le illude di essere diverse.
Giorgio Faletti