Quella benedetta finale
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Quella benedetta finale

On the road

di Emanuele Chiapponi

 

Antefatto

Sabato 3 giugno 2017, Millennium Stadium, Cardiff. Uno di quei sabati sera che esigono birra ghiacciata e occhi incollati allo schermo. La Juventus di Allegri e il Real Madrid di Zidane per una finale Champions League di orgoglio italiano. Quel sabato lì, neanche a farlo apposta, avrebbe decorato una fantastica settimana corta che prevedeva un venerdì 2 giugno – Festa della Repubblica – di riposo nazionale.

Quella benedetta finale

Avevamo scelto, Riccardo ed io, di dedicare i tre giorni di stacco al prosieguo di un’avventura intrapresa 7 anni prima – nel 2010 – e sul più bello interrotta. L’avventura consisteva nel percorrere il… Cammino di Francesco.

Partendo da un santuario francescano situato a Poggio Bustone, in provincia di Rieti, l’itinerario – 18 tappe, circa 360 Km – attraversa le tre Regioni Lazio, Umbria e Toscana, ed ha come punto di arrivo un altro santuario francescano, il Santuario della Verna – situato a pochi chilometri da Chiusi della Verna, in provincia di Arezzo – famoso per essere il luogo in cui san Francesco d’Assisi avrebbe ricevuto le stigmate il 14 settembre 1224.

Quella benedetta finale
Cammino di Francesco. Fonte: http://www.diquipassofrancesco.it

Muniti di ufficiale ‘credenziale del pellegrino’, già nel 2010 avevamo percorso l’itinerario da Poggio Bustone a Spoleto. Stavolta, altre tre tappe erano ad attenderci: partendo da Spoleto, avremmo raggiunto Trevi nel giorno di venerdì, Spello di sabato, ed Assisi la domenica. Inutile aggiungere che, il sabato nel quale saremmo arrivati a Spello, sarebbe stato il sabato di quella ‘benedetta finale’.

Quella benedetta finale
Credenziale del Pellegrino. Foto: Emanuele Chiapponi

Tra escursionismo e viandanza

‘Escursionismo’. Dal latino ex currere, ovvero ‘andare fuori’, ‘porsi fuori’. Tradizionalmente legata alla frequentazione della montagna, questa attività ebbe la propria fioritura nella seconda metà dell’Ottocento, diffondendosi soprattutto grazie alle élite borghesi in cerca di esperienze dirette con i grandi scenari alpini. L’alterità della quota, i luoghi a volte impervi – o comunque posti al di fuori del mondo consueto – ed un certo spirito di sacrificio richiesto a colui che affronta l’impresa, sono caratteristiche strutturanti di questa attività, e ci consegnano un ritratto dell’escursionista che è uomo (o donna) necessariamente allenato, adeguatamente equipaggiato, fortemente motivato. Requisiti, questi, che per diverso tempo ho ben assicurato alla mia condotta, capisaldi di decine di avventure vissute tra quote altere e scenari mozzafiato. Venti forti, nevi insidiose, pietraie… rapidità, fatica e sudore: tutto era desiderabile, pur di raggiungere la vetta. Dopo avermi accompagnato per diversi anni, questo ‘desiderio di vetta’, ad un certo punto, è svanito, e sono sceso di quota.

Esiste un altro modo di ‘andare fuori’. Ci sono cose che si vedono solo viaggiando ‘più in basso’. Si tratta dei ‘dettagli’, ricompensa di tutti quei viaggiatori che, lenti e consapevoli, percorrono il proprio cammino con lo spirito del viandante, di colui che è solito penetrare nei luoghi più segreti e autentici di un territorio, di affrontare un percorso nella spiritualità, nella storia e nella natura.

Italia, terra di cammini

I cammini sono dei lunghi itinerari a tappe, spesso da borgo a borgo, che attraversano interi territori su percorsi per la maggior parte immersi nella natura, liberi dall’asfalto, e che hanno sempre un tema di fondo, un’antica traccia da seguire o una pagina di storia da approfondire. Il Cammino di Santiago de Compostela, ovviamente, è l’ideale progenitore di questi cammini. Ed è sulla scorta di quell’esperienza vissuta felicemente ormai da milioni di persone che ne sono nati tanti altri, soprattutto nella penisola italiana, così ricca di paesaggi culturali e, soprattutto, di vecchi percorsi da ‘riscoprire’.

La maggior parte dei cammini d’Italia deve sicuramente la propria fortuna a pellegrinaggi millenari. Si pensi alle vie che portavano i cristiani di tutto il mondo a Roma – la più famosa delle quali è sicuramente la Via Francigena, che andava da Canterbury a Roma, passando per la Francia – o agli itinerari che ripercorrono le vite dei Santi – in particolare di San Francesco – frequentate un tempo da fedeli provenienti da tutto il mondo. Non mancano, poi, cammini di carattere storico, come il Cammino dei Briganti tra Abruzzo e Lazio, che ripercorre le tracce dei briganti della ‘Banda di Cartore’, giovani entrati in clandestinità per ribellarsi ai Savoia e alle prepotenze della Guardia Nazionale, o la Via degli Dei, tra Bologna e Firenze, sviluppato su un’antica strada romana, la Via Flaminia Militare del II secolo a.C. E ancora, vi sono addirittura cammini sorti sui luoghi che hanno reso grande la letteratura italiana, come il Cammino di Dante, che si dipana tra Emilia-Romagna e Toscana. In ogni caso, un’intera rete di possibili itinerari da percorrere a piedi nella nostra penisola è stata mappata ufficialmente con l’atlante dei Cammini d’Italia, un progetto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali ideato nel 2016. Il sito web, davvero ben costruito, è sicuramente meritevole di una visita (http://www.turismo.beniculturali.it/home-cammini-ditalia/).

Quella ‘benedetta finale’

Lasciammo Trevi verso le 10:00 del mattino, zaini in spalla. Quando varcammo la porta di Spello, stanchi e impolverati, la visione che si presentò ebbe del miracoloso: la piazzetta centrale, ed in particolare il suo baretto munito di maxischermo esterno, erano stati designati dalla cittadinanza quale location di lusso per la visione comunitaria della finale di Champions. Erano circa le quattro del pomeriggio, ed avremmo avuto tutto il tempo per trovare la giusta ospitalità, farci una doccia, riposare un poco, e ritornare più pacificati che mai nel nostro salotto privilegiato, premio giornaliero per le fatiche del viandante.

Ci mettemmo in cerca di un alloggio che si confacesse al nostro rango di pellegrini. Individuammo il Convento Piccolo San Damiano delle Suore Missionarie Francescane del Cuore Immacolato di Maria. Dopo una breve gara a chi riusciva a pronunciarne il nome senza riprendere fiato, decidemmo che avrebbe fatto al caso nostro. Si trattava di una delle tante – graditissime – strutture recettive religiose che hanno deciso di dedicare degli spazi specifici ai pellegrini. Eh già! Perché un tracciato sul terreno non basta da solo a disegnare un itinerario: lavoro ben più impegnativo per gli ideatori è individuare o creare i posti tappa nei siti giusti, con un tipo di accoglienza che rispetti lo spirito dei viaggiatori.

Credenziale alla mano, ci presentammo alla madre superiora – di cui in verità non ricordo il nome, ma che per comodità e affetto chiamerò Suor Balilla – la quale ci accolse con ogni premura, assegnandoci una stanza di tutto rispetto. Se mai vi capitasse di intraprendere una simile avventura, vi renderete presto conto che il pellegrino, il viandante, non sempre gode delle comodità che oramai siamo soliti dare per scontate. Ebbene, questa volta era diverso: letti comodi, materassi e lenzuola, prese elettriche, docce calde. Per essere dei disgraziati che vivevano di Provvidenza, questa volta ci toccarono dei lussi particolari. E che serata ci aspettava!

Alle 19:30 in punto, adeguatamente ristorati, scendemmo nel chiostro, facendo per uscire. Già percepivo, stretto nella mano, il boccale di birra ghiacciato. Già immaginavo CR7, Modric, Dybala e Buffon. Ed in quell’apice d’immaginazione, suor Balilla si rivolse a noi: «Ragazzi mi raccomando, il cancello del convento chiude alle 21:00. Siate certi di tornare in tempo, altrimenti rimarrete fuori, poiché nessuna sorella vi aprirà». Il boccale di birra dei miei pensieri si rovesciò, ancora ghiacciato, tra capo e collo. Non ci fu verso di ottenere sconti di pena. Eravamo stati condannati.

Iniziammo a vagare per il placido borgo di Spello. Allungato su uno sperone del Monte Subasio, esso si presenta al visitatore con le sue case colorate di rosa ed i suoi vicoli acciottolati. Numerosi sono i resti di epoca romana quando Spello, o meglio Hispellum, era ‘Splendidissima colonia Julia’, come recita un cartello posto sulla facciata del Portonaccio. Di questi secoli di splendore oggi restano le mura fortificate romane meglio conservate d’Italia, tre magnifiche porte di ingresso al borgo, e – soprattutto – il fitto reticolo di stradine, vero e proprio ‘palcoscenico fiorito’. Antica e raffinata è, infatti, la tradizione che vede gli abitanti impegnati nell’abbellire – tra maggio e luglio – i propri balconi con decorazioni floreali.

Quella benedetta finale
Spello, particolare. Foto: Emanuele Chiapponi

Tutte queste bellezze, tuttavia, non riuscirono a lenire i nostri dolori. Nella nostra testa c’era solo il coprifuoco. Evitammo dunque di ripassare per la piazzetta del maxischermo… troppo dolore. Alle 20:55 eravamo davanti al cancello. Sconsolati, varcammo la soglia, e ci dirigemmo a testa china verso i giardini interni del convento. Fu lì che incontrammo un gruppo di pellegrini – erano una decina – che stavano sistemando delle sedie in circolo. Si apprestavano a passare una serata comunitaria, e ci invitarono. Per quanto allettante, spiegammo che il nostro cuore, quella sera, risiedeva altrove. Allora capirono, e – tra poveri viandanti – fu vera solidarietà: «Questo è il mio numero – disse uno di loro – basterà fare uno squillo quando sarete di rientro, e vi apriremo il cancello. Adesso non perdete tempo! Andate!».

La piazzetta, la folla, la birra ghiacciata. Seduti su un gradino. Arrivammo che il Real era in vantaggio grazie ad un gol di CR7 al 20’ del primo tempo. Primo tempo che si chiuse 1 a 1, con una rete spettacolare di Mandzukic in rovesciata. Nessuno di noi due era della Juve, ma godemmo di un bellissimo calcio in una serata altrettanto bella. La partita finì 4 a 1 per il Real, che brutalizzò la Juve nel secondo tempo, portando a casa la coppa. Tornammo al convento pieni di spirito (santo). I nostri complici aprirono i cancelli, come concordato. Andammo a dormire, l’indomani saremmo partiti alla volta di Assisi, per la nostra terza ed ultima tappa.

Epilogo. La mattina dopo, a colazione, Suor Balilla ci raccontava di quanto fosse stata avvincente la partita della sera prima, che lei – accanita juventina – aveva visto al maxischermo della sala grande, insieme alle consorelle. Farfugliammo frasi sconnesse sul fatto che anche noi avremmo voluto vedere la partita. «Potevate dirmelo! – ci apostrofò, ben consapevole della nostra uscita serale – Avevate forse paura di chiedere?».

Quella benedetta finale

4 giugno 2017, Assisi. Riccardo ed io. Foto: Emanuele Chiapponi

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