Sogno di una notte…di maratona…di mezza estate
On the road
di Roberto Ferdinandi
Il ‘sogno’ di percorrere, nella bella stagione, una spettacolare mezza maratona notturna tra le vie di Roma, che ferma macchine e pedoni per lasciare il passaggio ad atleti veri ed improvvisati, porta a riflettere su un fenomeno ormai diffuso in tutto il mondo: la ‘corsa su strada’.
La diffusione di massa di un’attività determina spesso distorsioni sugli obiettivi primari e le peculiarità dell’attività stessa. Nel caso specifico della corsa, è il benessere fisico – o wellness – a farne le spese.
Nella mia esperienza trentennale come esperto del movimento, ed in qualità di allenatore federale del settore ‘master’, specializzato nel fondo e nel mezzofondo, ho avuto la possibilità di osservare tutta la parabola ascendente del movimento atletico, dalla fine degli anni ‘70, quando erano in pochi a macinare chilometri, tra gli improperi di automobilisti ipocinetici ed un po’ invidiosi, sino ai giorni nostri, in cui la corsa è divenuta una moda, un fenomeno sociale e socializzante, nei meeting e nelle gare che settimanalmente il calendario regionale offre.
L’ingresso di innumerevoli sponsor di scarpe ed abbigliamento sempre più tecnologici, di organizzatori che hanno recepito il business del coinvolgere centinaia di partecipanti ai propri eventi, di presidenti di società spinti più dai premi in denaro, spesso proporzionali al numero di atleti iscritti, che da vero spirito consociativo e sportivo, hanno snaturato il valore del gesto sportivo e del traguardo.
Non è probabilmente un caso se, rispetto agli anni ’80, i fondisti italiani di livello mondiale sono praticamente spariti. Ci sarà pure una motivazione se negli anni ‘70, ‘80 e ‘90 i campioni italiani come Cova, Panetta, Antibo, Mei, Bordin sino a Baldini, gareggiavano pochissimo su strada dominando invece il mondo nelle manifestazioni sportive più importanti. Oggi, di questo tipo di campioni, in Italia, non v’è più traccia. Forse, sempre più attirati da queste gare su strada, hanno via via abbandonato una programmazione tecnica annuale che preveda un allenamento specifico con il picco di forma da raggiugere in vista di campionati mondiali ed olimpionici.
Ma se queste scelte tecniche riguardano gli atleti professionisti, ben più serie sono le anomalie che si osservano nell’affollato ambiente degli amatori con l’ingresso di ‘praticoni dello sport’ autoproclamatisi allenatori, coach, personal trainer, motivatori, che con una minima esperienza di corsa giovanile o grazie a corsi per allenatori della durata di 48 ore, promettono a sprovveduti, aspiranti atleti in buona fede, tempi e risultati fantastici anche sulle lunghe distanze.
Tutto ciò è impensabile per chi da decenni vive la corsa come filosofia di vita e di benessere fisico e mentale, studia i giusti carichi di lavoro, con le precauzioni fisiche, psichiche, mediche ed alimentari che una disciplina così impegnativa merita. Ai miei atleti propongo programmi a lunga scadenza, ma soprattutto personalizzati, perché ognuno si sveglia al mattino con orari diversi e con motivazioni diverse, ha peculiari caratteristiche fisiche, ha bioritmi influenzati da diverse vite lavorative e sociali e quindi estremamente personali. Un serio preparatore deve tener conto di queste variabili, parlandone con l’atleta, adeguando il lavoro da svolgere, rendendolo consapevole che i risultati non possono giungere se non con il tempo, con il sacrificio e con la costanza, senza incorrere negli infortuni che questa disciplina affascinante, ma sempre traumatica, può provocare, con conseguenti, fastidiose, interruzioni dell’attività.
L’utilizzo di tabelle di allenamento trovate su riviste o scaricate da internet pone il praticante non professionista a rischi di ordine fisico e traumatico. Queste, infatti, devono essere intese solamente come spunto per l’attività dell’appassionato di gare e di corse domenicali, ma certamente non sono strutturate per essere sostitutive dell’allenatore in carne e ossa.
Non ultima, è la assoluta ed imprescindibile necessità di essere sottoposti preventivamente a seri e periodici controlli medici, non fosse altro perché, quando il giovane emerodromo Filippide, nel 490 a.C., corse la distanza da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria contro i Persiani, appena dopo aver pronunciato la famosa frase «Abbiamo vinto» (Νενικήκαμεν, Nenikèkamen), morì per lo sforzo sostenuto.
La corsa è la conoscenza di se stessi, insegna a superare i momenti
di crisi e ad interpretare i segnali che il corpo invia.
È in gran parte una questione di testa ed anche la testa
necessita di allenamento, cosicché la distanza diventi
nulla e si trasformi in tenacia.
Anonimo tiburino