Una nuova epidemia: l’infertilità maschile
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Una nuova epidemia: l’infertilità maschile

di Luigi Maria De Santis

A cavallo tra secondo e terzo millennio è esplosa la difficoltà della riproduzione e sono emersi inquietanti segni di femminilizzazione del maschio: primi segnali della via dell’estinzione dell’uomo?

Sempre più coppie, circa una su cinque, nel mondo occidentale, presentano problemi di infertilità, intendendo con tale termine il mancato concepimento dopo un anno di rapporti intenzionalmente mirati alla riproduzione. Il fenomeno ha ormai assunto le dimensioni di una epidemia e la patogenesi  è  divisa esattamente a metà tra fattori maschili e femminili; infatti, dopo indagini cliniche e laboratoristiche, si riscontra, nelle coppie infertili, in un terzo dei casi, una patologia femminile, in un altro terzo una maschile e nell’ultimo terzo problematiche che coinvolgono entrambi i partner.

D’altronde, per quanto riguarda l’uomo, negli ultimi decenni si è assistito mediamente ad una netta riduzione del numero di spermatozoi nel liquido seminale. Negli anni ‘80 il laboratorio di Seminologia dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, una delle massime autorità scientifiche nel campo della Fisiopatologia della Riproduzione, indicava come valore normale almeno 60 milioni di spermatozoi per millilitro. A distanza di poco più di un ventennio, il WHO ha stabilito il  valore minimo  in ‘soltanto’ 15 milioni per millilitro. Fermo restando che per ottenere una fecondazione naturale, in via ipotetica, basterebbe un unico spermatozoo mobile, il divario tra questi valori appare troppo  profondo, considerando che la ‘mutazione’ sarebbe avvenuta in pochissimi anni. Numerosi studi documentano, in particolari gruppi di popolazione, un decremento annuo del numero di spermatozoi di circa l’1,5%, ben al di sopra della fisiologica discesa dovuta all’età. L’attività scientifica rivolta alla spiegazione del fenomeno è stata a dir poco imponente mentre ancora non vi è un accordo unanime in merito alle conclusioni.

I classici

Tra le cause ‘certe’ di infertilità, un ruolo rilevante assumono i difetti di posizionamento dei testicoli, in primis il criptorchidismo che, se non trattato entro i primi due anni di vita, espone la gonade maschile anche a rischio di trasformazione carcinomatosa. A tal proposito va segnalato un importante incremento di casi di tumori seminomatosi del testicolo nelle popolazioni danese, finlandese, svedese e del nord della Germania, forse esposte, anche per contiguità geografica, ad un fattore di rischio ancora sconosciuto. In Italia la casistica è ferma da tempo a 1500 nuovi casi l’anno. Un’altra anomalia anatomica correlata con l’infertilità maschile è il varicocele, cioè la dilatazione delle vene spermatiche, deputate al drenaggio del testicolo. Il varicocele è ampiamente diffuso nella popolazione generale (circa il 20%) ma nella popolazione selezionata di maschi infertili si arriva ad una incidenza quasi del 50%. Estremamente controversa la questione del trattamento chirurgico, alla luce del fatto che le caratteristiche del liquido seminale migliorano mediamente a sei mesi dall’intervento per poi regredire. Da più parti si suggerisce la strategia combinata della chirurgia e del successivo congelamento del seme in una delle banche dedicate alla crioconservazione dei gameti al momento del massimo miglioramento dei parametri seminali, soprattutto della motilità. Queste patologie ‘espansive’ del testicolo, oltre cha dalla visita andrologica, potrebbero essere svelate da una accurata tecnica di autopalpazione periodica, al momento diffusa però solo tra le donne per la prevenzione delle patologie del seno.

La nuova frontiera

Gli straordinari progressi compiuti negli ultimi decenni dalla ricerca genetica hanno permesso di evidenziare numerose anomalie responsabili della compromissione della funzione riproduttiva. Si calcola che oltre il 10% dei casi di infertilità maschile dipenda da alterazioni genetiche. I quadri sono molteplici  e comprendono alterazioni di interi cromosomi o parte di essi, mutazioni di singoli geni o patologie del DNA mitocondriale. Queste alterazioni, presumibilmente, saranno sempre più presenti nelle future generazioni in quanto i portatori, superando il proprio limite ricorrendo a  tecniche di fecondazione assistita, potranno trasmettere l’alterazione stessa alla prole.

I killer silenziosi

L’apparato genitale maschile è composto da un insieme di organelli posti in continuità e contiguità anatomo-fisiologica, ognuno con un compito preciso da svolgere; la patologia che colpisce uno di essi si ripercuote sulla salute di tutto il sistema e sulla qualità del prodotto finale, cioè il liquido seminale.  Le patologie più diffuse, che riguardano circa l’80% della popolazione sessualmente attiva, sono le infezioni trasmesse per via sessuale (MTS), estremamente infide in quanto a decorso estremamente paucisintomatico, anzi quasi sempre silente. Si tratta di infezioni sostenute da vari germi (numerosi virus e batteri, Clamidie e Micoplasmi) che in genere si risolvono spontaneamente, ma che in alcuni casi possono coinvolgere la parte posteriore dell’uretra per poi procedere per via retrograda e infettare ad esempio la prostata e le vescicole seminali che sono le ghiandole secretrici del plasma seminale, l’ambiente in cui vivono sospesi gli spermatozoi. All’interno della prostata, inoltre, decorrono i dotti eiaculatori, passaggio obbligato per gli spermatozoi diretti all’esterno; questi esilissimi e delicati tubicini, in corso di prostatite, possono subire fenomeni infiammatori tali da determinare la loro chiusura con conseguente azoospermia e quindi sterilità irreversibile. Un altro organello critico, se infettato, è sicuramente l’epididimo cioè il primo tratto delle vie seminali posto dorsalmente al testicolo, dove gli spermatozoi  acquisiscono una delle loro principali caratteristiche, cioè la motilità. In questo caso la patologia infiammatoria può provocare la astenospermia, cioè una percentuale ridotta di spermatozoi mobili, gli unici utili ai fini di una riproduzione non artificiale. Possono essere devastanti, infine, le orchiti, quando viene interessato il parenchima nobile del testicolo, sede della spermatogenesi.  La prevenzione della diffusione di queste patologie veneree passa necessariamente per l’utilizzo di profilassi di barriera.

Una citazione a parte merita l’infezione da papilloma virus (HPV) sia per la sua estrema diffusione (da solo incide su circa il 50% delle MTS), sia perché rappresenta un particolare modello di prevenzione. Oltre ad essere causa della condilomatosi, questo virus provoca la trasformazione tumorale delle cellule epiteliali della cervice uterina e recentemente è stato dimostrato il suo coinvolgimento nello sviluppo di alcuni tumori nel maschio, in particolare del pene, dell’ano e dell’orofaringe. Studi recenti hanno inoltre dimostrato che l’HPV penetra nei tubuli seminiferi,  aderisce agli spermatozoi e ne condiziona negativamente la motilità. La peculiarità della prevenzione è legata alla diffusione della vaccinazione (contro nove sottotipi del virus), inizialmente intesa come immunità di genere, solo femminile, ma recentemente sempre più diffusa ai giovani maschi. L’obiettivo, per ora lontano, di una immunità di gregge sarà l’arma più efficace contro la diffusione dell’HPV nelle giovani e nelle future generazioni.

Una nuova epidemia: l’infertilità maschileLa femminilizzazione del maschio

La virilità, intesa anche come fenotipo maschile, e il buon funzionamento dell’apparato riproduttivo, dipendono dalla corretta secrezione e dall’azione degli ormoni ipofisari e del testosterone, ormone maschile per eccellenza, in un sistema endocrino integrato che non ammette ingerenze esterne da parte di molecole estranee. Negli ultimi decenni  l’ambiente in cui viviamo è profondamente mutato. In particolare sono sempre più diffuse, in vaste aree del pianeta, sostanze inquinanti, talora tossiche, altre volte cancerogene, oppure con caratteristiche di ‘interferenti endocrini’, in grado cioè di danneggiare la sintesi, il trasporto e l’azione degli ormoni, soprattutto disturbando il normale legame nucleare del testosterone e degli estrogeni. Questi veleni sono ubiquitari e possono annidarsi in alcuni degli oggetti di uso quotidiano come padelle, contenitori per gli alimenti, prodotti in plastica, PVC, carta, alcuni cosmetici, ma anche in prodotti usati in campagna come diserbanti, fertilizzanti, pesticidi oltre che in molti prodotti di derivazione industriale come i bisfenoli e le diossine e in alcune sostanze naturali come i fitoestrogeni contenuti, ad esempio, nella soia. Nel corso degli ultimi anni sono state emanate normative in serie dalla Comunità Europea (famosa quella che nel 2011 ha messo al bando i biberon che riscaldati al microonde liberavano bisfenolo A), ma è ancora lunga la strada della completa identificazione di tutte le molecole. Probabilmente anche a causa di questa esposizione il corpo maschile sta cambiando. Il Secular Trend, l’accurato studio antropologico che osserva le variazioni antropometriche nel tempo, ha descritto, nell’arco temporale di  un secolo, un netto aumento (circa 11cm) della statura media dell’uomo occidentale (Europa, Nord America e Australia) accompagnato da un incremento della lunghezza degli arti inferiori e da un aumento del BMI (indice di massa corporea) e quindi dell’obesità, entrambi segni di ipogonadismo. I gruppi di popolazione maschile con maggior incremento di altezza e grasso corporeo vengono genericamente definiti ‘meno fecondi’. D’altronde sappiamo che il tessuto adiposo è una grande fonte di estrogeni in quanto ricco di aromatasi, l’enzima che trasforma il testosterone in estradiolo; inoltre nel gruppo di popolazione di maschi infertili la percentuale di obesi è maggiore che nella popolazione con provata fertilità. Per finire, è accertato che alcune abitudini di vita, in particolar modo di parte della popolazione giovanile, come l’abitudine tabagica, l’assunzione di alcool e di droghe, sia pesanti che leggere, hanno un ruolo peggiorativo sulla qualità del liquido seminale.

Conclusioni

In questo scenario la comunità scientifica ha assunto le posizioni più disparate. Qualcuno, ad esempio, estremamente catastrofista, incrociando i dati della NASA sull’aumento del riscaldamento globale con la diminuzione degli spermatozoi, ha calcolato la possibile estinzione della razza umana in qualche centinaio di anni se non si dovesse intervenire in maniera drastica sull’ambiente; altri hanno affermato che, in un futuro non troppo remoto, sarà possibile nascere solo da tecniche di clonazione umana.  La posizione più realistica, oltre ad auspicare il miglioramento delle tecniche di fecondazione assistita a cui sempre più coppie sono costrette a ricorrere, pone l’attenzione sull’unica possibile strategia, cioè una massiccia opera di prevenzione, sia riguardante l’ambiente, sia il sistematico controllo dell’apparato genitale. Se pensiamo alla situazione italiana, indagini demografiche indicano che risulta bassissima la percentuale di giovani che si rivolgono ad uno specialista per una visita andrologica se non per una patologia acuta. Il motivo che porta al controllo è spesso l’inizio di un percorso diagnostico per l’infertilità. Inoltre, la figura dell’andrologo, contrariamente a quella del ginecologo, non è diffusamente conosciuta, né facilmente reperibile. Non dimentichiamo inoltre che l’unico screening che poneva l’attenzione anche sull’apparato genitale, per quanto sottovalutato dall’opinione pubblica e sottostimato nei risultati, cioè la visita di leva, è stato effettuato per l’ultima volta, dopo circa 150 anni, nel 2004 sui ragazzi della classe 1985. Mentre le ragazze considerano doveroso sottoporsi a controlli ginecologici, accessibili in centinaia di consultori, i ragazzi non hanno ancora sviluppato la cultura della salute del proprio corpo, indispensabile per il mantenimento della propria capacità fecondante, e fanno fatica ad individuare una figura di riferimento. Sembra indispensabile quindi la promozione di campagne di informazione e che l’Andrologia esca dalle nicchie universitarie per affrontare in maniera adeguata le esigenze del territorio.

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